La donna incinta a Mariupol è morta: la sua foto ha fatto il giro del mondo
La sua foto aveva fatto il giro del mondo. Oggi la notizia della morte di lei e del bambino che portava in grembo.
La sua foto ferita su una barella aveva fatto il giro del mondo in poco tempo. Oggi la notizia che la donna incinta che veniva portata via insieme al suo bambino dai vigili del fuoco, sdraiata su una barella, è morta insieme al piccolo che portava in grembo.
A diffonderne la notizia l’agenzia Associated Press a 5 giorni dall’attacco dell’esercito russo all’ospedale di Mariupol.
La donna dopo il bombardamento era stata trasportata immediatamente in un altro ospedale. La sua foto distesa su una barella mentre teneva per mano il grembo insanguinato è diventata virale ed è già una delle foto simbolo di questo incomprensibile massacro.
Nonostante il rapido intervento i medici non sono riusciti a salvare la vita né a lei né al bambino che portava in grembo. Anzi fin da subito aveva chiesto di essere uccisa perché aveva già intuito di aver perso il suo bambino.
La donna era stata trovata con una frattura al bacino e dopo il taglio cesareo il bambino che portava in grembo non aveva mai dato segni di vita.
“Sono morti entrambi” – ha spiegato all’Associated Press uno dei medici che ha tentato invano di salvargli la vita. Il nome della donna incinta a Mariupol non è noto: nel caos seguito al bombardamento i medici non hanno trascritto il nome prima che il marito e padre della donna venissero a recuperare il suo corpo e quello del bambino per donargli una degna sepoltura.
Per i russi l’ospedale era una base di combattenti ucraini
La propaganda russa aveva sostenuto che l’ospedale non funzionasse più da tempo come struttura sanitaria ma fosse in realtà utilizzato come base da combattenti ucraini e per questo attaccato.
A sostegno della tesi erano state usate le immagini di un’altra donna incinta fotografata nell’ospedale di Mariupol, Marianna Podgurskaja, una nota blogger ucraina: per Mosca le immagini della ragazza erano invece parte di una “messinscena mediatica”.