Alessia Pifferi, la madre della bimba morta di stenti, picchiata in carcere dalla altre detenute
Alessia Pifferi sarebbe stata aggredita nel carcere di San Vittore dalle altre detenute, mentre cercava di raggiungere la suora
Da quel giorno, in cui ha aperto la porta di casa e ha trovato Diana senza vita, Alessia Pifferi deve tener testa al grande accanimento mediatico. Ma non solo, dopo le ultime notizie emerse, sembrerebbe che nemmeno la sua vita in prigione sia facile.
La madre della bimba morta di stenti, sarebbe stata picchiata dalle altre detenute, mentre raggiungeva la suora che la supporta psicologicamente all’interno della prigione di Milano.
In quell’unico momento in cui è uscita dall’isolamento, sembrerebbe che qualcuno l’abbia punita per ciò che ha fatto alla sua bambina di soli 18 mesi.
Il suo avvocato, Solange Marchignoli, ha più volte parlato della sua paura di vivere dietro le sbarre e del peso mediatico sulla sua vicenda. Alessia Pifferi è rimasta sola, può contare solo sul supporto dei suoi legali.
La famiglia le ha chiuso ogni porta, così come ha fatto il suo compagno di Leffe. Quello stesso uomo che ha scelto al posto di sua figlia, non l’ha mai contattata. Gli aveva raccontato di aver lasciato la piccola Diana con sua sorella e che sarebbe andata da lui sola, per “respirare un po’”. E, invece, la piccola era a casa da sola, senza cibo e senza acqua. Si è spenta lentamente e non è di certo una cosa facile da perdonare.
Un altro rifiuto del Gip per Alessia Pifferi
Gli avvocati della difesa hanno richiesto, per la seconda volta, una consulenza neuroscientifica e psichiatrica sulla propria assistita, ma il Gip non l’ha ritenuta necessaria. Secondo Fabrizio Felice, la donna è sempre stata consapevole delle sue azioni, così come stabilito dalle perizie interne di San Vittore.
Sarà soltanto il giudice a richiedere le neuroscienze, qualora lo riterrà necessario.
Solange Marchignoli e Luca D’Auria hanno espresso la propria rabbia dopo il rifiuto. Il loro intento è quello di ricostruire cosa sia accaduto nella mente di Alessia, ma così la donna viene soltanto bollata sul rogo mediatico.
Come se le neuroscienze fossero qualcosa che può entrare nel processo solo per valutare l’infermità mentale, quando invece studiano i percorsi cognitivi e l’intenzionalità di tutte le attività umane.