Valeria Fioravanti e la meningite non diagnosticata: per il papà poteva essere curata
Valeria Fioravanti ha perso la vita per una meningite non diagnosticata in tempo dai medici. La famiglia non si rassegna alla perdita. Secondo il papà potevano curarla, poteva salvarsi
Una famiglia in lutto da mesi, per una figlia che non c’è più e che forse si poteva salvare, se solo i medici avessero approfondito meglio i suoi sintomi. Valeria Fioravanti è deceduta per una meningite non diagnosticata. Un anno dopo la sua scomparsa il papà alla stampa dice che poteva essere curata. Valeria si poteva salvare. Invece, quella diagnosi è arrivata quando ormai era troppo tardi.
Il 10 gennaio 2023 Valeria Fioravanti ha perso la vita. Aveva la meningite, ma i medici non l’hanno diagnosticata in tempo. Aveva solo 27 anni quando il suo cuore si è fermato per sempre. La famiglia non riesce a rassegnarsi alla sua scomparsa.
Secondo i famigliari, infatti, sono stati due gli errori medici condotti negli ospedali dove la giovane aveva cercato risposte per i suoi sintomi. Prima la somministrazione del Toradol, un antidolorifico dato per la cefalea. E poi la diagnosi errata di lombosciatalgia.
La nostra famiglia è a pezzi. La vita non è più la stessa. Non riusciamo a rassegnarci a quello che è accaduto.
Queste le parole del papà di Valeria al Corriere della Sera:
Rileggo le chat di un anno fa: Valeria chiedeva acqua da bere alle infermiere e mi scriveva che neanche la ascoltavano. Le sue analisi dicevano che aveva un’infezione. Aveva rigidità nucale. Febbre alta. Ma per lei nessuno ha fatto niente. E invece poteva salvarsi con l’antibiotico.
Valeria Fioravanti aveva una meningite batterica non diagnosticata
Quello che è certo è che daremo battaglia fino alla fine. Fino a quando quei medici che non hanno fatto il loro lavoro non saranno condannati. Fino a quando non ci sarà giustizia per Valeria. E perché quello che è accaduto a lei non accada mai più a nessuno.
Le indagini intanto si sono concluse e il registro degli indagati riporta i nomi di tre medici, uno del Casilino e due dell’ospedale San Giovanni. Dovranno rispondere di omicidio colposo, negligenza, superficialità, imperizia.