“È stato incastrato grazie a loro” come hanno fatto gli inquirenti ad arrestare Moussa Sangare
Dopo un mese di indagini senza sosta si è arrivati finalmente all'identificazione del killer di Sharon Verzeni: Moussa Sanger. Accusato di premeditazione, nella sua casa hanno rinvenuto un tiro al bersaglio ed un ceppo di coltelli
Esattamente dopo un mese dall’omicidio di Sharon Verzeni, si è finalmente giunti all’identificazione del suo killer. Si tratta del 31enne Moussa Sangare, un rapper che risiede a Suisio, un paese situato a cinque chilometri da Terno d’Isola.
Un omicidio giudicato “insensato” e senza movente. Questo perché, alla richiesta fattagli da parte degli investigatori in merito al motivo dell’aggressione mortale inflitta a Sharon, Sangare si è limitato a rispondere: “Non so perché l’ho fatto. Ho sentito l’impulso di colpire qualcuno, l’ho vista e l’ho uccisa”.
Una risposta che nella sua atroce semplicità sintetizza alla perfezione il concetto di “banalità del male”.
Sharon Verzeni non aveva alcun legame con il suo assassino. I due non si erano mai visti prima. Non ci sono all’origine del delitto motivazioni né di natura sessuale, o religiosa, o personale. Semplicemente, Sharon Verzeni “era nel posto sbagliato nel momento sbagliato”, come ha commentato con amarezza la procuratrice aggiunta di Bergamo Maria Cristina Rota dopo il fermo del suo assassino reo confesso.
Come si è giunti all’identificazione di Moussa Sangare
Le indagini senza sosta che si sono susseguite nell’arco di quest’ultimo mese sull’omicidio di Sharon Verzeni e si sono concluse con il fermo e la successiva confessione del suo killer, Moussa Sangare.
È lui l’uomo in bicicletta che gli investigatori cercavano da settimane, ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre percorre contromano via Castegnate. Un video che è stato parte integrante della soluzione del mistero, a cui però hanno contribuito in maniera determinante anche le deposizioni rilasciate da due testimoni chiave di questo caso.
Si tratta di due ventenni italiani di origine marocchina che la notte dell’omicidio si trovavano in via Torre, una traversa di via Castegnate per allenarsi. Non hanno visto Sangara scappare, ma lo hanno incrociato alle 00.27, poco prima che incontrasse Sharon.
“Era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima”. Un dettaglio, questo, ritenuto fondamentale in quanto ha aiutato gli inquirenti ad identificare l’assassino.
Con la testimonianza dei due giovani in mano e le immagini riprese dalla telecamera prima e dopo il delitto, per gli inquirenti non ci sono stati più dubbi sull’effettiva colpevolezza dell’uomo. Fermato, condotto in caserma, riconosciuto dai testimoni, Sangare ha ceduto e confessato tutto.
L’accusa a Moussa Sangare è di omicidio premeditato aggravato dai futili motivi
Sul 31enne reo confesso pendevano già precedenti per maltrattamenti nei confronti della madre e della sorella. Il killer, incalzato dai carabinieri, ha dichiarato: “Ho avuto un raptus improvviso. Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa“.
Una tesi che non convince affatto gli investigatori. L’uomo, infatti, era uscito di casa armato di ben 4 coltelli e dunque con la chiara intenzione di “far del male” a qualcuno. Fra l’altro, prima di colpire a morte la povera Sharon, per sua stessa ammissione, aveva minacciato due ragazzini mostrando loro il coltello. Lo stesso coltello che è stato rinvenuto poi a Medolago, vicino al fiume Adda.
Si tratta di premeditazione. Ne è convinta la pm Maria Cristina Rota:
“È uscito di casa con quattro coltelli e quindi gli è stata contestata la premeditazione: l’obiettivo era evidente, voleva colpire qualcuno. Non c’è nessun movente religioso, né terroristico, non appartiene ad alcun movimento religioso“.
Non solo: all’interno dell’appartamento occupato da Sangare, gli investigatori hanno ritrovato e sequestrato un cartone utilizzato come tiro al bersaglio con sopra disegnata una faccina ed anche un ceppo da sei coltelli. Ne mancano quattro all’appello: quelli che Sangare aveva portato con sé la notte del delitto.
Possibili problematiche di natura psichiatrica
L’avvocato difensore di Sangare, Giacomo Maj non esclude l’esistenza di una problematica di natura psichiatrica:
“È molto verosimile che ci sia una problematica psichiatrica, anche se è un discorso prematuro e sarà un tema da approfondire con consulenze ed un’eventuale richiesta di perizia, ma è comunque un aspetto questo rilevantissimo”.
Il legale ha poi aggiunto:
“Il suo gesto non dovrebbe essere dovuto a queste cose è stata una cosa senza senso, di cui anche lui non sa la motivazione”.
Una posizione condivisa dalla stessa procuratrice aggiunta Rota che ha riferito di non aver mai percepito la sensazione che il killer potesse essere “alterato“, anche se pare noto il suo passato di tossicodipendenza.