Green Art: l'arte del vivente
Una riflessione sulla fragile bellezza dell'effimero
Se “green art” è diventata l’espressione chiave per definire un’arte che si preoccupa dell’ecologia, gli artisti che la praticano, preferiscono parlare di “osservatorio del vivente” o del ciclo della vita.
Ecco qui un piccolo assaggio di atti artistici veramente green.
A Roma, al MACRO, i gemelli newyorkesi Mike e Doug Starn costruiscono “Big Bambù”, che possiede caratteristiche di elemento ecocompatibile, degradabile in tutto, dalla base alla cima. È la versione romana di un progetto già sperimentato altrove. Due mesi, venticinque “scultori-scalatori” e ottomila canne di bambù.
Anche se di enormi dimensioni, questa scultura non è autocelebrativa, bensì è un’opera che va compresa in relazione all’uomo che la attraversa.
Da lontano appare come un nido gigante, un elemento naturale vivo e in crescita verticale.
Osservarla di sera svettare tra i padiglioni dell’ex mattatoio di Testaccio quando è illuminata è uno spettacolo assoluto.
Tadashi Kawamata ha seminato opere in tutto il mondo. Lavora sullo spazio architettonico, sul paesaggio inteso come contesto sociale. I suoi lavori realizzati in legno, ovviamente recuperato, sono leggeri, effimeri, non durevoli nel tempo, in trasformazione, come organismi viventi.
Tim Knowles è l’artista del vento. È posseduto da questo elemento, dal suo potere di essere fuori controllo.
Ed è proprio grazie al vento che gli alberi possono dipingere.