Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Un ricordo di Cesare Pavese
È finita la notte. 27 Agosto 1950/2014
Articolo scritto da Elena Verzì
Il 27 agosto 1950 scompariva Cesare Pavese e in questi giorni sento la necessità di rivolgere un pensiero ad un autore che ha regalato la sua vita ai lettori. Un autore la cui penna volava in alto, le cui parole toccavano i cuori di quanti si avvicinavano ad assaporare le sue meravigliose opere. Nel suo diario (che verrà poi pubblicato postumo) il 18 agosto di quell’anno scriveva: “Tutto questo fa schifo, non scriverò più”. Come non dedicare oggi un pensiero all’incredibile personalità dell’insegnante che tutti noi, almeno una volta, abbiamo sognato di avere, anche solo per qualche lezione serale?
Tormentato dalla delusione amorosa con Constance Dowling, alla quale dedicò i versi di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, a Torino in una camera dell’Albergo Roma venne trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero. Sul comodino, una copia dei “Dialoghi con Leucò” e nella prima pagina una scritta: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.
Il mal di vivere, la depressione, conduce ad azioni che nessuno immaginerebbe mai. Mi piacerebbe ricordarlo con qualche estratto delle sue opere maggiori.
A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e attraversare la strada, per diventare come matte, e tutto era bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che succedesse qualcosa, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all’improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline (La Bella Estate – 1949)
C’è un’arte di ricevere in faccia le sferzate del dolore che bisogna imparare. Lasciare che ogni singolo assalto si esaurisca; un dolore fa sempre singoli assalti – lo fa per mordere più risoluto e concentrato. E tu, mentre ha i denti piantati in un punto e inietta qui il suo acido, ricordati di mostrargli un altro punto e fartici mordere – solleverai il primo. Un vero dolore è fatto di molti pensieri; ora, di pensieri se ne pensa uno solo alla volta; sappiti barcamenare tra i molti, e riposerai successivamente i settori indolenziti. […] Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte. (Il mestiere di Vivere-Diario. 1935-1950)
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
(Verrà la morte e avrà i tuoi occhi – 1950)