Mommy: un film capolavoro che racconta l'amore tra una madre e un figlio
Educare un figlio vuol dire prepararlo al nostro distacco? Amare un figlio vuol dire anche prendere delle drastiche decisioni per il suo bene? In questo film c'è il racconto perfetto di un amore fuori dal comune. Come solo il cinema di alto livello sa fare.
Sabato pomeriggio alle 18:20 al cinema Alcazar di Roma, coperta all’inverosimile in una sala senza riscaldamento, ho visto uno dei film più belli della mia vita.
Si chiama Mommy ed è scritto, diretto, prodotto e montato da Xavier Dolan, un attore, regista, sceneggiatore e doppiatore canadese nato nel 1989 in Canada e al suo quinto film. È stato presentato in concorso alla 67ª edizione del Festival di Cannes, dove ha vinto il Premio della Giuria.
A parte la genialità registica e la sconvolgente maturità che Dolan sa mescolare con l’essere completamente figlio del suo tempo, a parte le trovate registiche, l’uso della musica supremo, le attrici iperboliche e altre varie cose meravigliose che se volete potete trovare raccontate qui in questo bellissimo articolo di Christian Raimo uscito su Internazionale, quello su cui in questa sede mi viene di riflettere è ovviamente il rapporto madre-figlio, tra
Diane, vedova affascinante e combattiva, e il suo amatissimo e disturbato figlio Steve, adolescente che soffre di deficit di attenzione e iperattività.
Avere un figlio difficile e amarlo alla follia.
Vivere tutti i giorni il pericolo di diventare il bersaglio del suo disagio e colmarlo d’amore.
Abbandonarlo per dargli una possibilità pur sentendoci comletamente svuotati: questo (e tantissimo altro) è Mommy.
Mommy è più di una storia d’amore, è la storia della più grande storia d’amore: quella di una mamma che ama disperatamente il proprio figlio e che lotta per rendere la loro vita normale.
Mommy è la storia di una mamma che non si dà per vinta e che cerca di puntare tutto sui suoi pochi punti di forza per andare avanti in maniera dignitosa.
Il coraggio che hanno solo le madri, quelle madri che vivono situazioni estreme che le sublimano in qualcosa di molto simile agli esseri mitologici.
Mi viene in mente un altro film, anche se molto diverso, che si chiama “La guerra è dichiarata”, che racconta le vicissitudini di una coppia alle prese con un figlio malato in un modo molto particolare perché alterna i registro ironico e drammatico nonostante la tragica vicenda del tema. In una scena del film i due genitori, prima dell’operazione dal cui esito dipenderà la vita del figlio, dicono “che le cose succedono a chi ha la forza di sopportarle”, e credo che sia molto vero.
Credo però che, in quanto genitori, siamo portati ad avere le nostre emozioni in una costante propensione all’estensione.
Li mettiamo al mondo e non sappiamo che saremo in grado di sopportare cose che fino a poco tempo prima ci sembravano enormi.
Non solo quelle dolorose, anche la gioia la si allena passo dopo passo, dal primo vagito alla prima recita alla prima paginetta delle A, ogni passo è una gioia più grande e che allena le nostre emozioni a estendersi.
Un miracolo.
Detto questo dovremmo essere dei soggetti dotati di una forza straordinaria capaci di provare qualsiasi situazione a testa alta, e invece no.
Quello che impariamo come genitori non sempre va di pari passo con quello che viviamo nella nostra sfera privata.
Ci sentiamo comunque insicuri, falliti e persi.
Perché? Perché nonostante ci sia chi ci ama di un amore incontrastato e univoco siamo comunque insicuri?
Dov’è la falla?
Tornando a Mommy, credo che nel film ci sia il fulcro di questa questione.
Il punto è che per quanto li amiamo in maniera folle, disumana e per quanto possano essere difficili, accentratori, istrionici, sono altro da noi.
Un altro che nutriamo per poi doverci distaccare violentemente.
Quando non ci sono, per nostra o loro scelta, restiamo quello che siamo sempre stati, nonostante questo amore, quando sono piccoli e totalmente dipendenti da noi, ci sembri l’unica cosa possibile.
Imparare a riconoscere, questo è il vero primo passo verso la loro formazione di identità.
Per emanciapre i nostri figli dobbiamo emanciparci noi per primi da loro.
Educare un figlio vuol dire prepararlo al distacco da noi.
E qui potrei citare il finale di Mommy, ma vorrei così tanto che voi mamme lo vedeste che non voglio rovinarvi nulla.
Sappiate che c’è un regista giovane e geniale che ci ama e che ci racconta meravigliosamente.