Jonathan Galindo, l’incubo social tra i genitori: è davvero reale?
L'incubo della figura virtuale che spingerebbe i bambini ad uccidersi: ecco chi è Jonathan Galindo
Un altro incubo del web si sta facendo strada nelle ultime ore: Jonathan Galindo. Dopo la tragedia del bambino di 11 anni di Napoli che si è suicidato, è caccia all’uomo nero. Secondo quanto ricostruito fin’ora dalle forze dell’ordine, il piccolo prima di compiere il disperato gesto, ha lasciato un biglietto alla sua famiglia. Si è scusato per ciò che stava per fare, ma doveva seguire “l’uomo nero con il cappuccio”.
Jonathan Galindo è un account social dietro il quale si nasconde una o più persone ricercate in queste ore dalle forze dell’ordine. Si tratta di un fenomeno social che tramite Instagram, WhatsApp, Facebook e Tiktok, contatta bambini e giovani.
Dopo aver mandato un messaggio privato, Jonathan chiede alle sue vittime di giocare attraverso un link ed è così che iniziano delle sfide e delle prove di coraggio, che si concludono con l’autolesionismo e con la morte per suicidio.
Tutti i profili con questo nome, hanno come immagine del profilo un uomo con una maschera, una specie di Pippo umano.
La leggenda metropolitana di Jonathan Galindo
Queste immagini si sono diffuse sul web circa tre anni fa, dopo che un influencer messicano ha raccontato di aver visto un tizio con questo aspetto fuori la sua abitazione, di notte. Da quel momento è nata la leggenda metropolitana di Jonathan Galindo. Questa persona non esiste, non è reale, ma è popolare. I malintenzionati potrebbero usare la sua foto, al fine di raggiungere il loro “obiettivo”.
Dopo la morte del bambino di 11 anni, tra le prime ipotesi degli inquirenti, c’è proprio quella che sia una vittima del gioco virtuale. Non c’è ancora nessuna prova certa che il suicidio sia collegato a Galindo, ma l’avvertimento a tutti i genitori è al momento fondamentale. È bene controllare i profili dei propri figli e bloccare qualsiasi utente con questa immagine del profilo o con questo nome.
L’incubo virtuale ricorda quello di diversi anni fa, che dalla Russia si diffuse in tutto il mondo: la Blue Whale. Un gioco di sfide, della durata di 50 giorni, durante i quali un curatore riusciva ad entrare nella mente dei giovani, portandoli all’autolesionismo e alla fine del gioco, a salire su un palazzo e a buttarsi.
Sulla vicenda è intervenuto Massimo Polidoro, il segretario nazionale del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, affermando che non ci sia alcuna prova che il bambino sia morto per questa challenge. Nessuna prova certa, nessuna relazione.
Le forze dell’ordine di Napoli stanno indagando sulla vicenda senza alcuna sosta e stanno analizzando il cellulare e il tablet dell”11enne.