La sentenza sul caso di Carol Maltesi sta facendo discutere: i magistrati spiegano le motivazioni
Nessun ergastolo per Davide Fontana, l'uomo che ha messo fine alla vita di Carol Maltesi: i giudici spiegano le motivazioni della sentenza
La sentenza per il caso di Carol Maltesi sta facendo molto discutere. Nessuno ergastolo per l’uomo accusato di aver messo fine alla vita della giovane mamma. Il 44enne Davide Fontana è stato condannato a 30 anni di reclusione.
Secondo il giudice l’uomo non avrebbe premeditato il delitto e non avrebbe agito con crudeltà perché il suo movente “non può essere definito abietto o futile in termini tecnico giuridici”.
Carol Maltesi era una giovane mamma di 26 anni che aveva stretto un rapporto di amicizia e lavorativo, nel mondo dell’hard, con Davide Fontana. Ha commesso l’errore di rispondere al telefono davanti all’uomo. Parlando con il suo ex compagno, padre del loro bambino, gli aveva confessato del suo desiderio di trasferirsi di nuovo vicino a Verona, per stare vicino al suo piccolo di soli 6 anni.
Davide Fontana ne era ossessionato e non poteva permetterlo, così ha messo fine alla sua vita mentre stavano girando un filmino. Carol era legata e bendata e incapace di reagire a quel martello e a quel fendente alla gola. Nei mesi successivi, l’amico ha nascosto i resti in un congelatore e si è finto la sua vittima. Ha risposto ai suoi messaggi, ha usato i social network e le sue carte di credito. Alla fine, si è sbarazzato dei sacchi neri contenenti i pezzi del corpo di Carol in un dirupo a Borno, dove sono stati rinvenuti.
Le motivazioni della sentenza sul caso di Carol Maltesi
Nonostante la richiesta dell’ergastolo, il giudice ha condannato l’imputato a 30 anni di reclusione. Nelle carte della motivazione della sentenza è stato spiegato che “Davide Fontana era un uomo innamorato e deluso dalla prospettiva dell’abbandono e si è reso conto che Carol si era servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato. Ciò ha scatenato l’azione omicida”.
Continua: “A spingere l’imputato non fu la gelosia ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte”.
Le frasi scritte dai magistrati stanno facendo molto discutere. La famiglia non riesce a credere ad una tale condanna e che secondo i giudici non vi sia stata alcuna crudeltà e nessuna premeditazione.