“Mi sono salvato perché..” rompe il silenzio l’unico figlio sopravvissuto alla strage di Nuoro: le sue strazianti parole
Il ragazzo di 14 anni che si è salvato dalla furia omicida del padre racconta la sera della strage: " mi sono finto morto"
L’incubo di Nuoro, è una pagina nera del nostro Pese. Roberto Gleboni, un operaio di 50 anni, ha impugnato una pistola e ha ucciso, uno dopo l’altro, tutti i membri della sua famiglia.
Il figlio 14enne di Gleboni, testimone diretto del massacro e unico superstite della famiglia, ha preso una decisione che ha probabilmente salvato la sua vita. In quel momento di puro terrore, quando suo padre ha rivolto l’arma verso di lui, il ragazzo si è finto morto. Un istinto primordiale, quello di nascondersi dall’orrore, che ha funzionato.
Le sue parole, riportate dal giornale locale La Nuova Sardegna:
“Mi sono finto morto”.
La furia omicida di Roberto Gleboni non si è fermata all’interno delle mura di casa sua. Dopo aver compiuto il gesto atroce, ha lasciato la sua abitazione. Durante il tragitto verso quella di sua madre, dove successivamente si è tolto la vita, ha incontrato un vicino di casa, Paolo Sanna. Gleboni lo ha ucciso senza esitazione, sparando mentre il povero uomo saliva le scale del condominio, ignaro del pericolo imminente. Il blackout che aveva colpito l’edificio ha offerto un contesto surreale all’atrocità: Gleboni era sceso per riattivare la luce, e il suo incontro casuale con Sanna si è trasformato in un ulteriore atto di violenza.
Non c’è un movente chiaro, non c’è un passato di liti familiari o tensioni che possano giustificare un tale gesto. Roberto Gleboni era descritto come un uomo gentile, pacato, da parenti e vicini interrogati dalla polizia e dai carabinieri. Nessuno aveva percepito segnali di quello che sarebbe accaduto. Soltanto un vicino racconta:
“Abbiamo saputo che Gleboni aveva problemi nel condominio, ha avuto reazioni sproporzionate per cose banali e faceva dei dispetti sui contenitori della raccolta differenziata. Era strano, ma quante persone strane ci sono nel mondo?”
Le parole dell’unico sopravvissuto, invece, potrebbero contenere le chiavi per comprendere ciò che è davvero successo. Il ragazzo ha raccontato alle forze dell’ordine, alcuni episodi, evocando immagini di caos e disperazione. Forse un litigio, forse una discussione accesa. Forse il preludio di una tragedia covata nel silenzio.
“A casa stamattina urlavano tutti”.
Il giovane lotta per riprendersi dalle ferite fisiche, operato al San Francesco di Nuoro per rimuovere le schegge dalla mandibola. La sua testimonianza diventerà cruciale per ricostruire il puzzle di questa strage senza senso. Gli inquirenti attendono con ansia di poterlo ascoltare in modalità protetta, con l’assistenza di uno psicologo e un tutore legale.
Le mamme dei compagni di classe di Francesco non avevano molti rapporti con i genitori del ragazzo, descritti come persone riservate. Anche i rapporti tra Giuseppina Massetti e la sua famiglia di origine sembrano essere stati difficili. Le indagini, condotte dai Pm Riccardo Belfiori e Sara Piccicuto, si concentrano sugli accertamenti tecnici su telefoni e computer delle vittime e sull’omicida-suicida, oltre che su verifiche patrimoniali. Nel frattempo, a Nuoro e nella Barbagia, il dolore per la tragedia è profondo. La preside della scuola di Francesco, Graziella Monni, sta supportando i bambini nel lutto, mentre i compagni lasciano lettere e fiori sul banco del piccolo. Il Comune di Nuoro ha organizzato una fiaccolata per esprimere solidarietà alla famiglia colpita.