Un altro no per Alessia Pifferi: la decisione del Gip e la rabbia dei legali
I legali di Alessia Pifferi hanno ricevuto un altro no da parte del Gip: nessuna perizia neuroscientifica e psichiatrica sulla donna
Un altro no per Alessia Pifferi. Il Gip di Milano ha respinto, per la seconda volta, la richiesta della difesa su una perizia neuroscientifica e psichiatrica sulla madre della piccola Diana Pifferi.
Fabrizio Felice nel provvedimento, con il quale ha respinto la richiesta, ha scritto:
Come attestano le relazioni del Servizio di psichiatria interna di San Vittore, Alessia Pifferi si è sempre dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo.
Nessun elemento quindi che faccia pensare che Alessia Pifferi abbia bisogno di una perizia psichiatrica. La donna è sempre stata consapevole di ciò che ha fatto alla sua bambina e che le sue azioni abbiano portato al decesso di Diana Pifferi. Non solo, la donna non ha alcuna storia passata di disagio psichico.
Il Gip ha affermato che la richiesta della difesa non può incidere sul processo interpretativo del giudice:
Suggestive adesioni in campo accademico sul fronte dell’utilizzo delle neuroscienze.
Sarà il giudice a richiedere una possibile perizia sulla salute mentale dell’imputata, qualora riterrà che sia necessario.
Le parole degli avvocati di Alessia Pifferi dopo il rifiuto del Gip
Gli avvocati di Alessia Pifferi, Solange Marchignoli e Luca D’Auria, hanno espresso la propria rabbia davanti alla negazione di una perizia neuroscientifica e psichiatrica.
La difesa di Alessia Pifferi non può arrendersi di fronte all’ennesimo diniego alla richiesta finalizzata a capire cosa sia successo nel cervello della propria assistita. È troppo facile chiudere la partita bollando Alessia come un mostro bruciandola sul rogo mediatico. La giustizia nega il diritto di difendersi provando. Come se le neuroscienze fossero qualcosa che può entrare nel processo solo per valutare l’infermità mentale, quando invece studiano i percorsi cognitivi e l’intenzionalità di tutte le attività umane.