L’immortalità di David Bowie in 10 cover album
Per ricordare il dandy che cadde sulla Terra
Dalle ballate spaziali alla dance, dal folk acustico all’elettronica, dal glam rock al soul e al krautrock.
Trasformismo, preveggenza e rivoluzione culturale fanno di David Robert Jones un artista totale e immortale, perché anche la sua uscita di scena dal mondo è Arte, con lo splendido testamento musicale di “Blackstar”.
“Time may change me, but I can’t trace time” (“Changes”, 1971).
Cinquant’anni di carriera, genio e metamorfosi: Bowie è stato tra i primi a concepire il rock come “arte globale”, coinvolgendo il teatro, il mimo, la danza, il cinema, il fumetto, le arti visive.
E’ difficile sintetizzare la sua grandezza culturale, perché coinvolge tutto il mondo dell’arte dagli anni Sessanta al 10 gennaio 2016. Ecco che però, dando i numeri, si possono ricordare 10 immagini, 10 copertine di album che suggellano alcuni dei più indimenticabili alter ego di David Bowie.
Space Oddity (1969). “Ground Control to Major Tom …”. Il vero inizio della leggenda. Il secondo album di Bowie, che si muove tra le atmosfere acustiche del Folk, spigolosità sonore, prime intuizioni Progressive.
The Man Who Sold The World (1970). David Bowie comincia a diventare Ziggy Stardust. I testi sono influenzati dalla malattia mentale del fratellastro che da ragazzino era stato il suo mentore musicale e le atmosfere sono fantascienza distopica. Un album di culto.
Hunky Dory (1971). Inserito cronologicamente tra l’hard rock occultista di The Man Who Sold the World e la fantascienza glam di Ziggy Stardust, questo album presenta tutti gli elementi chiave della musica di Bowie, il suo primo autentico “classico”.
The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972). L’album che ha segnato il cambiamento del rock. “Starman”, “Rock’n’Roll Suicide”, “Suffragette City” sono nati dal più famoso alter ego di Bowie, Ziggy Stardust. Indimenticabile ambiguità sessuale dell’alieno Glam con gli stivali, le zeppe e i mantelli.
Young Americans (1975). L’album chiude definitivamente la fase Ziggy e annuncia la svolta funky-black futura. Tra gli ospiti passati in studio durante le registrazioni ci fu John Lennon e insieme scrissero “Fame”. Per ringraziare Lennon, Bowie incise una cover di “Across the Universe”.
Station To Station (1976). Nasce il Duca Bianco. Bowie diventa un’icona di stile, abbandona i panni di Ziggy e mette in scena un’intensità brechtiana. Un successo clamoroso.
Heroes (1977). Il più celebre capitolo della Trilogia Berlinese, con “Low” e “Lodger”. E’ il magnifico frutto della collaborazione con Brian Eno. “Heroes” è la storia di due innamorati di Berlino, divisi dal Muro.
Scary Monsters (1980). Si torna al rock, una dichiarazione di intenti nei confronti degli anni del Punk e degli 80’s. David Bowie vestito in stile Pierrot, come appare nel video di Ashes to Ashes.
Let’s Dance (1983). Album di elegantissima soul dance che lo rendono una super pop star. Tra i singoli, oltre a Let’s Dance, Modern Love e China Girl.
Blackstar (2016). Non è solo un gran disco di pop sperimentale e il testamento artistico di Bowie, ma anche un ambizioso lavoro di graphic design di Jonathan Barnbook che crea un nuovo linguaggio visivo. Tutto è bellissimo, Blackstar è sublime in musica, testi e nell’artwork che gli gira intorno.
La copertina di ★ è la prima in assoluto in cui non esiste alcun riferimento all’immagine di Bowie, quindi la grafica acquista un’importanza fondamentale. Tutto è quella stella nera su fondo bianco.
L’ultimo disco di David Bowie. The end.