Nina Chakrabarti e le Voodoo Queens
L'artista indiana Nina Chakrabarti esplora il lato oscuro della moda trasformando le classiche bellezze da catalogo in (comunque intriganti) matrone vudù
Da modelle di bellezza a matrone della Haiti più misteriosa e oscura: è notevole il risultato ottenuto dalla sperimentazione dell’artista indiana Nina Chakrabarti, che a partire da classiche fotografie di moda, ci mostra il loro lato più oscuro. Per la serie take a walk on the wild side…
La tradizione vudù è un’esperienza mistica di rivelazione, arrivata dall’Africa sulle sponde della Giamaica come medicina tradizionale con forti legami con la magia nera. Soggetta a persecuzioni e mistificazioni e sviluppatasi in innumerevoli varianti – leggo su Wikipedia che è praticata da non meno di 60 milioni di persone in tutto il mondo – è approdata ad Haiti e quindi a New Orleans in una delle sue forme più oscure: zombie, sacrifici animali, bambole piene di spilloni… Ma di buono c’è da dire che è una tradizione che pone al centro la donna, molto ricca graficamente, oltre che fonte inesauribile di ispirazione per musicisti, scrittori, pittori, disegnatori di tatuaggi e illustratori…
Nata e cresciuta a Calcutta, Nina Chakrabarti si è trasferita in Inghilterra durante gli anni dell’adolescenza, portando con sé la sua collezione di francobolli e poco più. Gli studi alla Central St. Martins, il Royal College of Art e, ora, una promettente carriera di illustratrice a Londra.
Munita di penne Rotring, pennarelli, biro, matite, inchiostri vari e… un Mac, Nina lavora di solito sulla composizione di elementi diversi per ottenere immagini immancabilmente elettrizzanti. In questo caso, su commissione del magazine di Seattle I want you (noto per dare visibilità a talenti emergenti e artisti sconosciuti da tutto il mondo) l’artista ha “scarabocchiato” (si fa per dire eh, sì perché in effetti in inglese di direbbe interventionist doodling, che in effetti fa più figo) una serie di maschere vudù da sovrapporre alle immagini di modelle.
Piuttosto ben riuscito l’esperimento, no?