Sea Chair: per un arredamento con una storia, quella dei rifiuti nel mare
Lo studio di design inglese Swine ha prodotto un'idea "esportabile" che combina design ed ecologia

I nostri mari e i nostri oceani sono invasi da rifiuti plastici che non si decomporranno mai completamente. Non solo, ma i pezzi si riducono progressivamente divenendo in questo modo ancora più difficili da recuperare: un problema pervasivo che ci colpisce tutti, nessuno escluso.
L’isola di rifiuti conosciuta come “Great pacific garbage patch” e oggi grande due volte la superficie degli Stati Uniti si estende ormai dalle coste della California al Giappone. Persino su un’isoletta sperduta di Pulau Banyak, nell’oceano indiano a ovest di Sumatra, dove mi è capitato di trovarmi di recente, arrivavano sulla spiaggia i rifiuti della cosiddetta “civiltà”…

È a partire da questi pensieri che Azusa Murakami e Alexander Groves dello studio britannico Swine, in collaborazione con Kieren Jones, hanno progettato Sea Chair, un solido sgabello composto interamente da rifiuti plastici riciclati. Un prodotto che dimostra come la raccolta della spazzatura possa non solo essere un atto di rispetto e tutela dell’ambiente, ma un’attività produttiva, creativa e, non meno importante, remunerativa. Il tutto direttamente sulla spiaggia.

La Sea Press, un particolare macchinario di stampaggio realizzato dal recupero di macchinari precedentemente destinati ad uso diverso, consente infatti di produrre la sedia in loco.

Ogni pezzo può essere fornito di un tag identificativo con le esatte coordinate nautiche in cui è stato realizzato. E persino il processo di produzione è ecologico, basandosi sull’energia sostenibile generata dalla biocombustione dei componenti organici raccolti insieme ai rifiuti plastici sulle spiagge e poi separati.

La plastica utilizzata per creare la prima Sea Chair proviene dalle rive del Porthtowan, una spiaggia sulla costa sud occidentale della Gran Bretagna, tristemente nota per essere la più inquinata del Regno Unito. Ma il progetto non conosce confini: chissà se qualcuno lo porterà in Italia…
