Referendum costituzionale: quello devi sapere
Il 4 dicembre si vota per il referendum costituzionale. Voteremo sì o no? E per cosa? Proviamo a sciogliere tutti i dubbi: la nostra guida al voto
Domenica prossima, 4 dicembre, siamo chiamati a pronunciarci in merito al referendum costituzionale: basterà un semplice sì o no… facile! Oppure difficile?
In effetti questo referendum tanto semplice non è, prima di tutto per la questione del “merito”, ovvero la riforma della Costituzione, la più profonda dalla sua entrata in vigore, il 1° gennaio 1948.
Chi di noi ha davvero capito di cosa stiamo parlando? E poi, come se l’argomento non fosse già complicato di suo, Renzi & Co. hanno ingarbugliato ulteriormente la faccenda. Il sì e il no, oggi, sono vere barricate politiche. E così, accanto a vip pro-riforma e intellettuali e costituzionalisti contro, il voto di domenica si è trasformato in un referendum sul governo. Di qua, dalla parte del sì, il Pd, Area Popolare, Centro Democratico e la ex Scelta Civica e il mitico Verdini; di là tutti gli altri, dal Movimento 5 Stelle alla Lega Nord, passando per Forza Italia e Fratelli d’Italia, tutta gente, insomma, che oggi si strappa le vesti per difendere la stessa Carta costituzionale che fino a qualche mese bistrattava pubblicamente (per non dire altro!).
Comunque, siamo qui per voi: ecco una guida facile – punto per punto – al voto sul referendum costituzionale di domenica. A prova di bambino!
Il voto, il quorum e su cosa voteremo
Si vota domenica 4 dicembre, giornata unica, dalle 7 di mattina alle 23. Possono votare tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto 18 anni. Per il referendum costituzionale non c’è quorum. Significa che, a prescindere da quante persone andranno a votare, alla fine una decisione verrà presa comunque.
Cosa ci chiede il referendum? Ecco cosa troveremo sulle schede elettorali: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della costituzione?”. Qui troviamo tutti i punti principali della Riforma Boschi: la riforma del Senato con il superamento del bicameralismo così come lo abbiamo conosciuto, il taglio al numero dei parlamentari, la soppressione del Cnel (chi di voi sa cosa sia il Cnel alzi la mano!) e la revisione del Titolo V della Costituzione, quello, cioè, che regola la spartizione delle funzioni tra Stato e Regioni. Non perdiamo la calma, ora entriamo nel vivo della questione!
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Il Senato: viene abolito oppure no?
Il cuore della riforma costituzionale è tutta qui: il governo propone il superamento del bicameralismo perfetto. Chiariamo, però, che il Senato non viene abolito: le sue funzioni vengono ridotte e cambia il modo di eleggere i senatori. Le due Camere, dal 1948 a oggi, hanno gli stessi poteri, da qui la cosiddetta “navetta” delle leggi, cioè quel via vai che ha spesso bloccato intere riforme per questioni politiche. Certo, non vale per tutte le leggi, in casi eccezionali – cioè leggi costituzionali, referendum, enti locali e poche altre materie – il Senato mantiene il suo potere legislativo. In tutti gli altri casi il via libera arriverà solo dalla Camera. Il Senato, poi, si snellisce: saranno 100 i senatori (e non 315), tra consiglieri regionali, sindaci e nomine del Presidente della Repubblica. Ora viene il bello: nuovo Senato, vecchi vizi, i Senatori godranno dell’immunità parlamentare.
Titolo V: ma di che parliamo?
Titolo V questo sconosciuto. Chiariamoci le idee: il Titolo V della Costituzione è quello che ripartisce le competenze tra lo Stato e le Regioni. Modificato nel 2001 con una riforma che ha portato molta confusione in merito a chi doveva decidere che cosa. La riforma costituzionale prevede l’abolizione definitiva delle Province e del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel, si occupa delle leggi sull’economia e sul lavoro) e viene definita la spartizione del “lavoro” tra livello centrale e regionale. Tornano di competenza statale una ventina di materie, tra cui l’energia, le infrastrutture, la sicurezza, il commercio estero. Piccolo neo: alle Regioni rimane la grande materia della Sanità, buco nero dei bilanci regionali. Piccolo contentino di Renzi?
E il combinato disposto?
Se sentite parlare di combinato disposto non spaventatevi. In pratica con questa espressione marziana si vuole solo dire che se la riforma dovesse passare, i suoi effetti si combineranno con quelli dell’attuale legge elettorale, causando, secondo i sostenitori del NO, un eccessivo accentramento dei poteri nelle mani del governo. Ma, come si dice, c’è un però: il Partito Democratico ha promesso, per convincere la minoranza dissidente del partito, di mettere le mani anche sulla legge elettorale, come secondo step. Quindi, in teoria, non si rischia la dittatura. Dicono.
La riforma costituzionale ci farà risparmiare?
Il ministro per le Riforme Costituzionali Maria Elena Boschi ha annunciato un risparmio di ben 500 milioni di euro, che arriveranno soprattutto da quello che si risparmierà senza le Province. Eppure, questo punto è molto contestato. La Ragioneria dello Stato, ad esempio, ha ridimensionato il risparmio. E c’è chi sostiene che per risparmiare qualche euro sarebbe bastato un ritocchino agli stipendi dei parlamentari anche solo del 20%.
In breve: il sì e il no
Perché votare sì:
- per dire addio al bicameralismo perfetto
- per ridurre il numero dei parlamentari e abolire il Cnel, anche se non sappiamo bene cos’è
- per sperare in modalità e tempistiche più snelle per l’approvazione delle leggi
- per avere un nuovo Senato di 100 membri
- per ridimensionare le competenze delle Regioni
Perché votare no:
- per impedire ai consiglieri regionali eletti in Senato di godere dell’immunità parlamentare
- per evitare che il governo concentri su di sé tutti i poteri: un solo partito con l’Italicum, un solo leader
- per non creare maggiore confusione sui poteri di Stato e Regioni
- per non cadere nella trappola del risparmio sui costi della politica: chi dice no sostiene che il risparmio si aggira solo intorno al 20%
- per non cambiare la Carta Costituzionale che va già bene così com’è