Il racconto di Angelo Licheli, l’uomo che tentò di salvare Alfredino
Il 10 giugno 1981 tutta l’Italia si fermò. Il piccolo Alfredo Rampi cadde in un pozzo artesiano profondo 80 metri, e per la prima volta nella storia della televisione Italiana, un evento simile venne trasmesso in diretta per 18 lunghissime ore di fila. Cinque eroi si calarono nel pozzo, tendando invano di salvare la vita di Alfredino.
Tutta l’Italia rimase incollata alla tv sperando in un miracolo, ma purtroppo dopo 36 lunghe ore d’agonia la voce di Alfredino smise di chiamare la mamma. Alfredo morì dentro un pozzo alla profondità di 60 metri. Qualche mese dopo la morte del figlio, la mamma Franca fondò il centro “Alfredo Rampi”, che da allora si occupa di formazione alla prevenzione, per proteggere la vita di tutti noi. A 37 anni dalla tragedia di Vermicino, vi raccontiamo lo straziante racconto di Angelo Licheli, l’uomo che tento di salvarlo. L’uomo, ormai anziano e disabile, ai microfoni di “Fanpage” ripercorre tutta la vicenda e ancora non si da pace: “Il mio rimpianto resta di averlo dovuto lasciare in fondo a quel pozzo. Appena sceso, ho toccato con le mani ed era il bambino. Con un dito gli ho pulito la bocca, gli ho pulito un pò gli occhi ma lui è rimasto così e rantolava. In quei momenti mi dicevo che li in fondo era buio, ed i bambini hanno paura del buio. Il mio unico pensiero era quello di soccorrere il bambino.
Dopo una lunga lotta per arrivare lì in fondo, facendomi largo con le mani, non potendo lavorare in ampiezza ma solo in verticale arrivai da lui ed ho cercato subito di rassicurarlo e gli promettevo cose bellissime. Parlavo e cercavo di lavorare con le mani, così riuscii a mettergli l’imbracatura. Ho intimato di tirarmisu, ma loro hanno dato uno strattone e si è sganciato il moschettone.
Così ho provato a prenderlo sotto le ascelle, ma i strattoni erano fortissimi e così ho agganciato i polsi del piccolo, ma tirando gli hanno rotto il polso sinistro e lui non si è neanche lamentato. Mi sentivo in colpa ed ho pensato: Sta soffrendo tantissimo ed io gli ho anche rotto il polso.
Ho fatto un ultimo tentativo prendendolo per la maglietta. Quando ha ceduto gli ho dato un bacio e sono risalito su. Ho provato una rabbia forte perchè era facile salvarlo, facilissimo.
C’è stato un periodo di tre quattro anni che sognavo, sognavo la morte col fazzoletto in testa e la falce a mezzaluna che mi sfidava e io gli dicevo: “Se vuoi portarti via Alfredino devi passare di quì…ma ci sono io e dovrai passare prima su di me”.
Non sono stato un eroe, volevo solamente aiutare quel bambino. Il rammarico è quello di non avere Alfredino quì, insieme a tutti noi”.