Fuck for forest: come il porno salverà la natura!!
Altro che campagne, petizioni e atti di eroismo, l'ambientalismo si fa vendendo sesso
Quante associazioni, enti o singole persone conoscete che fanno ambientalismo? La realtà di cui vorrei parlarvi oggi di sicuro le batte tutte.
Sto parlando di Fuck for Forest, letteralmente “Scopa per la foresta”, ovvero un’attività di eco-porno.
Il progetto alquanto estremo è stato ideato da un norvegese, Tommy Hol Ellingsen, e una svedese, Leona Johansson, che, nel 2004, hanno fondato questa prima e unica Ong porno-ambientalista con l’unico obiettivo di salvare le foreste pluviali del Sud e centro America con gli introiti delle vendite di filmati porno amatoriali prodotti da loro.
I video ve li raccomando, nulla di più lontano dal qualsiasi forma d’arte esistente: non c’è nessuna cura per gli attori e le ambientazioni, qualsiasi posto va bene. L’importante è non turbare la vita selvaggia. Infatti, entrando nel loro sito sopra due foto in cui sono ritratti incastrati tra di loro in posizioni erotiche sugli alberi dell’Amazzonia (simbolo della lotta alla deforestazione) si legge “There are no laws in love. Love is the law!”, messaggio chiarissimo!!
La loro esperienza è anche stata raccontata nel film documentario F*ck for forest (con o senza asterisco per via della censura) del regista polacco Michal Marczak, presentato alla scorsa edizione (e non solo) del festival Cinemambiente di Torino.
Nel documentario il fondatore Tommy Hol Ellingsen racconta il significato profondo della Ong, ovvero “liberare le nostri menti, recuperare il contatto con la natura con noi stessi e con il pianeta”, peccato che le popolazioni amazzoniche non abbiano apprezzato il progetto come si aspettavano.
Il film-documentario
Il regista ha seguito gli attivisti per sette mesi, registrando ogni istante della loro quotidianità. Il tutto parte dalla Norvegia dove è nato il progetto, paese che li ha finanziati per dei mesi fin quando gli attivisti non sono saliti sul palco del Quart festival e hanno fatto sesso mentre suonavano i Cumshots.
La seconda tappa è Berlino, dove il gruppo ha continuato a raccogliere soldi attraverso il proprio sito: circa 100 mila euro l’anno, anche attraverso l’abbonamento mensile di 12 euro che consente di avere accesso all’archivio di video e foto hard. Tutti i fondi sono destinati all’ambiente e alle popolazioni indigene del Sud America e a un’iniziativa per salvare i boschi della Slovacchia.
Tra i personaggi del film vale la pena menzionare Danni DeVero, un ragazzo norvegese neohippy come gli altri, con un passato di fantino quasi olimpionico che nel 2008 rifiutò di partecipare alle Olimpiadi di Pechino per sensibilizzare l’opinione pubblica sul maltrattamento degli animali.
Fuck for Forest visto dagli altri
Nel complesso Fuck for Forest non gode di grande popolarità. I movimenti ambientalisti non li vedono di buon occhio e non riescono in nessun modo ad identificarsi con loro.
Anche presso alcune comunità indios il risultato non è stato quello sperato. In Perù ad esempio (come si vede nel film) i soldi offerti vengono rifiutati in quanto preferiscono accettare aiuti da quelle organizzazioni che creano possibilità di lavoro.
Di contro gli attivisti hanno replicato che sono stati regista e produttori del film a farli andare da quella tribù specifica, che loro non conoscevamo e che se avessero organizzato loro il viaggio l’esito sarebbe stato diverso.
Dopo l’uscita del film i rapporti con il regista Marczak si sono incrinati, accusato di averli fatti passare per ingenui edonisti.
In realtà Marczak, come ha in più occasioni dichiarato, non ha mai voluto giudicare il gruppo di Fuck the Forest, da cui si è sentito da subito fortemente incuriosito. Secondo le sue dichiarazioni il gruppo cerca di salvare persone dall’altra parte del pianeta, senza però riuscire ad aiutarsi l’un l’altro.
Come è visibile anche dal documentario gli attivisti sono perennemente in balia dell’improvvisazione, non ci sono schemi, regole, nessuna pianificazione, nulla du nulla, tutto è lasciato al caso, così come i set da cui traggono profitto.
Un aspetto curioso e interessante proprio per la sua estrema radicalità, ma sicuramente comprensibile per pochi e condivisibile da pochissimi.
Eco-porno sì o no? A voi l’ardua sentenza!!