Genitori e figli: Ognuno ha il figlio che si merita
Piccola carrellata di imperfezioni materne con virata finale verso la melassa offresi. Astenersi non perditempo
Io non so fare un sacco di cose che le mamme sanno fare.
Per esempio: cucinare. Ebbene sì, se intendiamo la cucina come la intendono i mortali abitanti di questo pianeta: non sono in grado. Un momento, se si tratta di fare dei creativissimi piatti al limite della cucina molecolare de’ noantri pure pure (nel senso che la zucchina molto molto molto cotta causa telefonata può quasi passare per un tentativo di applicazione empirica alla teoria fisica della spappolazione).
L’interesse per l’argomento non c’è, l’ho cercato per anni in tutta me stessa ma nulla.
Matilde a tre anni, quando ha trovato un libro dal titolo “La mia famiglia”, davanti all’immagine della mamma con la padella ha commentato con un sarcastico “guadda!”.
E c’era un mondo in quel gua(r)dda.
Altra pecca: non ho la patente, vivo nel magico mondo dei mezzi pubblici, cercando di applicare il valore aggiunto dell’avventura a quelli che per qualsiasi essere umano sono dei supplizi al limite della moralità. (Tra l’altro da quando ho scoperto l’applicazione iPhone dell’Atac che ti rivela tra quanti minuti arriverà il bus, credo che le speranze di prendere la patente siano pari alle calorie di una coca light). Non vi tedio con il discorso “non sai quanto puoi risparmiare prendendo di tanto in tanto il taxi” perché è il mio cavallo di battaglia quando non ho niente da dire e qui mi sembra che di cose da dire io ne abbia una caterva). La piccola Matilde del resto potrà sempre vantarsi con i suoi amici di aver detto come terza parola, dopo mamma e papà, TASCHI con un piglio che neanche un newyorkese in ritardo al lavoro avrebbe.
Inoltre, non mi butterei mai nell’acqua fredda della piscina. Ok, dico sì a tutto della maternità, adoro il mio frugoletto ma… non mi butterò mai in piscina in un colpo solo. NO, questo non chiedermelo, non cederei neanche davanti al broncio di Brigitte Bardot. Lo so che le altre mamme lo fanno, si buttano dal trampolino con il vento freddo per far fare il bagno ai piccoli, le adoro e le stimo ma io, io no. Io ho bisogno di stare venti minuti sulla scaletta con il piglio di un’ottuagenaria e di fare delle scenate al contatto con l’acqua seconde solo a quelle di una gallina spennata. E poi dopo pranzo devo assolutamente aspettare quattro ore, non ho la digestione smart… Inoltre non so pulire i crostacei (non dite a mia figlia che esistono, ho pensato di applicare lo stesso trucco della bella addormentata con il fuso, anche se non ha dato ottimi risultati) e non ho alcun trasporto per un neonato. Adoro che il genere umano vada avanti e mi piace molto l’idea di crescere qualcuno che farà parte di una generazione migliore e consapevole, ma il neonato mi mette ansia. Non mi ricordo assolutamente cosa abbiamo fatto il primo anno di vita di Matilde. Mi ricordo solo che al volante (!) della mia Stokke rossa, con la pioggia, il vento, il caldo… io camminavo. Mi ricordo i musicisti gitani come i miei migliori amici, la signora del forno di Campo de’ fiori come una colonna portante e edificanti chiacchierate in spagnolo con le tate. Poi il nulla. Ultimamente ho visto dei video dove Matilde neanche unenne sul seggiolone ascoltava Billy Holiday muovendo le gambette e un altro dove recitavo quel pezzo dove la Signorina Silvani fa notare a Fantozzi che il ragionier Calboni è campione di sci. No comment.
Inspiegabilmente ai più, cresco tuttavia una bambina felice.
Attenta osservatrice delle mie imperfezioni e fruitrice delle mie attenzioni e del mio entusiasmo.
Una spalla più che una figlia, che mangia volentieri le lenticchie e il minestrone, che vuole disegnare come Pollok (che altro non faceva che sdraiarsi per terra e disegnare a ritmo di musica), che va a scuola in monopattino (diciamo che da due anni a questa parte noi non ci muoviamo senza il monopattino detto in slang il VOVOPattino che spesso rimane tutto il giorno appeso alla mia spalla a supplire la mancanza di una baguette di Fendi).
Una bambina che fondamentalmente è una bambina (se vi sembra un’ovvietà guardate le pubblicità delle LelliKelly con la zeppa e ne riparliamo). Che non ha nessuno che le mette la fretta di crescere ma che spero possa avere la possibilità di godersi momento per momento tutta la sua infanzia anche se stimolata e seguita. Anche perché, diciamoci la verità, verrà un giorno in cui l’adolescenza busserà alla nostra porta, anzi io busserò alla porta chiusa di mia figlia adolescente che mi urlerà “non mi capisci”.
Insomma se ognuno ha il figlio che si merita, io mi merito mia figlia, quel tenero frugoletto che a quattro anni mi ha detto che lei nella vita avrebbe voluto stare sempre con me. E quando io le ho spiegato che crescerà e avrà voglia di stare con i suoi amici, di viaggiare e di fare cose meravigliose, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto “Mamma, voglio stare sempre con te. Quando piove.”