Bambini e nomi. Come un nome strano può complicarti la vita
Quando un nome bizzarro può compromettere lo sviluppo psicofisico del vostro bambino, ovvero le disavventure di una che si chiama Eva.
C’è una raccolta di scritti di Italo Calvino molto bella che si intitola “Mondo scritto e mondo non scritto”.
A pagina otto della stessa c’è un saggio che si chiama “Personaggi e nomi”, in cui lo scrittore individua due tendenze.
La prima, è quella seguita dagli scrittori che danno ai loro personaggi nomi che pesino il meno possibile “che non costituiscano nessun diaframma tra il personaggio e il lettore, nomi di battesimo intercambiabili, quasi numeri per distinguere un personaggio dall’altro”, la seconda è quella di attribuire “nomi che pur non significando niente direttamente, abbiano un loro potere evocativo (…) e una volta appiccicati ai personaggi non se ne possano più staccare”.
Questa tesi, vale anche per noi genitori, nel momento in cui veniamo chiamati a svolgere l’ingrato compito di scegliere il nome dei nostri figli.
Presi da un istinto irrefrenabile di originalità, da ricordi indelebili o buffe analogie, a volte ci trasformiamo in carnefici della loro autostima dandogli più che dei nomi degli epiteti dal pericoloso (e a volte a noi stessi sconosciuto) significato.
Io mi chiamo Eva, che è un nome che adoro, che mi rappresenta e che non scambierei con nessun’altro.
Eva era il nome della mia nonna e la scelta è stata tra le più classiche.
Tutta la mia vita reale è stata costellata da schermaglie e risatine, e dal dover dare una risposta pronta quando, sin dall’età di quattro anni, mi veniva posta la fatidica domanda “Dov’è Adamo?”.
Per anni ho cercato una battuta brillante, un motto di spirito, un iperbole paradossale, atti a contrastare l’inutilità del quesito ma, quando ho trovato qualcosa che vagamente potesse punire quel sarcasmo dozzinale, l’ironia riguardo al mio nome era cambiata.
I miei interlocutori, anch’essi cresciuti, si sono concentrati sull’implicazione del mio nome in una simpatica imprecazione.
Quello che non ho mai sopportato è stata la prontezza con la quale mi venivano porte le scuse dopo tale innocente sproloquio.
Perchè scusarsi? Se non era rivolto a me dove stava l’errore?
Essendo io ancora un piccolo emo introverso, era tecnicamente impossibile l’associazione e quindi, ripeto, perchè scusarsi?
Non l’ho mai capito, anzi vi invito pubblicamente a non farlo MAI.
Crescendo sono pasata dall’altra parte e ho iniziato a fantasticare sul nome che avrei voluto dare a mio figlio/a.
Fortunatamente molte ipotesi sono cadute con il passare degli anni.
Il primo nome che ho amato è stato Camillo.
Quando ero piccola, c’era un’amica di mia zia che era sposata con quello che mi dicevano essere un nobile tedesco bellissimo e ribelle con suddetto nome, ed io avevo iniziato a fantasticarne le gesta fino ad appropriarmi di quell’immaginario volendolo imprimere nel dna del mio futuro, eventuale, erede.
Fortunatamente, a parte il personaggio di un racconto scritto non mi ricordo neanche dove, il mio desiderio di generare un Camillo è andato sopito.
Poi c’e stato il periodo Amleto.
Lo so, sarebbe stata una iettatura, ma quello che mi divertiva era un’immaginifica accezione romana del nome.
Immaginavo il fruttivendolo, il ferramenta o chi per loro esclamare quel nome altisonante con un inflessione cesaronesca.
Soddisfazione un po’ effimera, mi rendo conto in rapporto alla quantità di analisi che avrebbe dovuto fare per smaltire l’eredità del nome.
Nel caso in cui avessi avuto una femmina la mia rosa spaziava da Armilla, come una delle citta invisibili calviniane (scusate se insisto) o Elide come il personaggio del film “C’eravamo tanto amati” interpretato da Lea Massari.
Calvino e Scola sono i miei maestri, se non si era capito.
Ma il nome che avrei veramente voluto dare a mia figlia (e sono stata drammaticamente combattuta fino al giorno della registrazione) era Revuelta.
Come la figlia di Fidel Castro e come la rivoluzione.
Grazie al cielo ho avuto un’illuminazione ed è arrivata Matilde.
Matilde come Matilde di Canossa ma soprattutto come il personaggio de “La signora della porta accanto” di Truffaut, in onore di quella che è secondo me la donna più bella (e piu matta) dello showbiz: Fanny Ardant.
Povera piccola, lo so… Sbattersi amori tragici già in tenerà età…
Quello che mi fa sorridere è che mi sentivo tanto originale finchè non sono incappata in feste con tre Matilde, incontri ravvicinati con Matilda (con e senza acca), una Matie…
Insomma quello che avevo pensato essere un vessillo dell’originalità in quanto classico, era il nuovo trend.
Come le credenze dei nonni decapate, ultimamente anche i nomi dei bambini stanno subendo una fase revival.
Accantonati i vari nomi esotici,(che l’upper class non aveva mai digerito bene) o quelli molto di moda (a scuola mia c’erano sedici Giulie e dieci Valentine), c’è un ritorno al nome d’antan.
È quindi tutto un fioccare di nomi da nonni rassicuranti e austeri che si sperano non vadano a interferire con questo già insicuro futuro che diamo ai nostri figli.
Sarà la crisi che ci porta ad essere parchi anche in fatto di nomi…
Calvino concludeva il suo saggio dicendo che “nella realtà si trova sempre un sottile, impalpabile, talora contraddittorio rapporto tra nome e persona, cosicchè uno è sempre quel nome che ha, nome che senza di lui non significherebbe nulla, ma legato a lui acquista tutto un significato speciale, ed è questo rapporto che lo scrittore deve suscitare per i suoi personaggi”, noi genitori secondo me dobbiamo fare il contrario, ovvero non imporre un nostro vezzo a nostro figlio, non attribuirgli indelebilmente quella che magari è solo la moda del momento e se proprio non riusciamo ad evitare di farlo, cercare di inventarsi una storia rassicurante sulla genesi dell’associazione.
Quindi evitate personaggi shakesperiani, condottieri ribelli, dittatori, o personaggi letterari idealisti ma un po’ inconcludenti, a meno che non abbiate la forza di aiutare vostro figlio a combattere una delle battaglie più dure: quella delle battutine sul nome.
E comunque per la cronaca Adamo è andato a farsi un trapianto di costola.
Scusate erano ventisetteanni che volevo dare questa risposta.