Cartoni animati e modelli femminili: le nuove eroine delle nostre figlie (II parte)
Oggi vi parlo di "Ribelle-The brave", il cartone animato della Pixar che ha come protagoniste una figlia e una mamma. Anzi, una vera e propria Malamamma
Basta vedermi per capire la mia totale adesione al il personaggio di Merida la protagonista del cartone animato prodotto dalla Pixar “Ribelle-The brave”.
Una cascata di ricci rossi (disegnati con una tecnica incredibile, per la serie quando stare a guardare il capello fa la differenza) e un animo impavido e indipendente.
La prima volta che ho visto questo cartone animato, sono rimasta abbastanza basita.
Abituata alle solite storie sulle principesse, mi sono sentita catapultata in un mondo totalmente diverso, privo dei soliti paletti drammaturgici e di riferimenti edulcorati.
Non tanto per la storia della pricipessa che rinuncia allo sposo che la famiglia le aveva designato o per la disparità di sostanza grigia distribuità ai coprotagonisti maschili, quanto per come è raccontato il rapporto madre-figlia.
Quello che mi emoziona di questa storia, è la crescita di questo rapporto, che segue una parabola che parte dalla diffidenza e dalla convenzione, subisce una crescita rafforzativa con il passaggio della madre alla fase animale, e rinasce trasformato e rigenerato dopo un’avventura condivisa.
(Se avete dei buchi colmateli qui)
Quello che mi colpisce è che questo cambiamento non avviene solo in Merida, ma trova la sua epifania nel personaggio della madre.
Ed è su di lei che voglio portare l’attenzione.
La mamma di Merida è una Malamamma.
Scherzi o autoreferenzialismi di sorta a parte, vado a spiegare…( e ora immaginatemi con le slide alle spalle)
Merida, per colpa di un incantesimo sbagliato, fatto da una strega sbadata o forse solo Junghiana, trasforma sua madre in un terribile orso.
Sulle prime teme il terribile animale (lo stesso che ha provocato la menomazione del padre) ma quando capisce che l’orso è sua madre subito riesce a instaurare una dinamica forte con l’animale riuscendo a comunicare molto più profondamente e intimamente di quanto riuscisse a fare quando la madre era un essere umano.
Passando a uno stadio delle sensazioni e non della relazione preconcetta, le due scoprono di capirsi a meraviglia e imparano a proteggersi l’un l’altra.
Merida scopre la vulnerabilità della madre, e cerca il modo per aiutarla a tornare umana sentendo il pericolo che corre nella sua fase trasformativa.
L’essenza della mamma, la verità del rapporto di sangue, il lato veramente femminile della genitrice è messo in pericolo da chi è incapace a credere al miracolo della sublimazione, in questo caso il padre che ha subito un trauma proprio da quell’orso – e anche qui possiamo trovare delle metafore calzanti del maschile e l’incapacità di trasformare il trauma in ricerca.
Quello che capita alla madre di Merida a me sta capitando adesso.
Mi sto finalmente ribellando (a rieccoci) a tutta una serie di patti che avevo fatto con me stessa in nome di educazione, convenzione, paura di essere rifiutata, e sto tirando fuori il mio lato “mamma-orsa” che mi porta ad essere sempre più vulnerabile e in pericolo (vi spolilero che si diventa gelosi, irritabili, troppo istintivi).
Questo processo è iniziato con la nascita di mia figlia, con l’abbassamento delle difese, con lo scavallo di ‘sti benedetti trentacinque ed è culminato con una separazione da un modello maschile castrante e nichilista con il quale ho denigrato la mia parte emotiva in nome del rispetto di una proiezione di me stessa che credevo fedele alla realtà (ho scoperto, per esempio, che non sono affatto cinica come amavo raccontarmi da trentasei anni, ma solo piena di difese e meccanismi di protezione che mi portavano a definirmi tale per non scoprirmi vulnerabile).
Insomma, volevo parlare del film ma ho parlato di me.
Tutto questo però per raccontare l’estrema attualità della favola Pixar che secondo me non si arroga il diritto di definirsi femminista ma scavalca l’idea.
Torno sul concetto che ho già espresso altrove: capire quello che siamo ci rende donne più forti, ma tutto questo è inutile se non lo concepiamo in prospettiva di una logica di convivenza con il maschile.
E di Merida che dire?
Avere conosciuto il vero lato della madre la porta sicuramente a sentirsi una donna più consapevole e la sua scelta di essere una principessa ribelle viene automaticamente non solo esaudita ma capita.
Perché a volte il punto con i nostri figli è che esaudiamo i loro desideri primari senza capirli.
Sfinite dal logorio della vita moderna e dalla paura di sbagliare tendiamo ad essere la fata turchina che esaudisce il desiderio primario di trasformarle in principesse per una sera.
Invece no, lo sforzo che dobbiamo fare da madri è quello di lavorare sulla nostra vera essenza, di non aver paura di tirare fuori il nostro lato animale (imperfetto, impaurito, vulnerabile, bugiardo, opportunista etc etc) a costo di essere in pericolo e non essere sulle prime capite.
Le nostre figlie impareranno comunque a codificare i nostri latrati e quello che si creerà sarà un unione meravigliosa.
È questo che auspico per il nostro genere.
La nostra lotta inizia da come ci rapportiamo con loro, non da quanto siamo più o meno sottomesse ai nostri maschi alfa di sorta (a volte un maschio alfa è molto meno violento da gestire di una virago di sei anni).
È questa la favola che voglio scrivere ogni giorno.
E Ribelle è una delle poche che non ho paura che mia figlia veda.