Abiti cuciti a mano o di produzione industriale: quali sono i migliori?
Ecco quanto valore ha ancora l'handmade nell'era della tecnologia
Dal 2007 a oggi sono raddoppiate le volte in cui il termine “handmade” (fatto a mano) è stato ricercato su Google, come dimostra Google Trends. Non c’è dubbio che l’industria della moda, che usa spesso il concetto di “fatto a mano” o “artigianale” per valorizzare un prodotto, stia focalizzando sempre di più la sua attenzione proprio su oggetti unici, personalizzati – nonostante marchi low cost e industriali come Zara ed H&M continuino a registrare una costante crescita.
Ma qual è la differenza tra un abito fatto a mano e uno industriale? E, nell’era della tecnologia – stampanti 3D, laser cut, modeling realizzato al computer – l’uno ha davvero ancora più valore dell’altro?
Da sempre, nell’ambito della moda come in altri, gli oggetti fatti a mano sono considerati “migliori” rispetto a quelli di produzione industriale, spesso visti come una perdita di stile unico e originalità in favore di un copia e incolla dato dall’acquisto di un capo che si ritrova all’80% indosso ad altre migliaia di persone. Ma sono anche tanti gli esponenti del fashion system – uno tra tutti Karl Lagerfeld – che sostengono che la tecnologia abbia aiutato la moda a progredire e che il valore non stia tanto nel processo di produzione a mano o a macchina, bensì nell’idea dietro di esso.
“Con l’era digitale è cambiato tutto”, ha affermato proprio il direttore creativo di Chanel in occasione dell’inaugurazione della mostra “Manus x Machina” del Metropolitan Museum of Art’s Costume Institute (dal 5 maggio a New York): la mostra si focalizza proprio sulla dicotomia – onnipresente nella moda – tra mano e macchina, che è poi la differenza principale tra haute couture e la controparte ready-to-wear. L’obiettivo della mostra è dimostrare che le due branche si stanno muovendo sempre più verso l’adottare le tecniche di produzione l’una dell’altra.
Il ruolo della macchina può essere strategico nell’alta moda: può infatti essere protagonista quanto la mano e, anzi, arrivare laddove quella non riesce, migliorando i disegni e facendo sempre più spazio all’innovazione. Ma non è proprio semplice distaccarsi dall’idea per cui un abito realizzato industrialmente equivale a prodotto di massa. Sono nati negli ultimi anni molti brand che utilizzano le tecnologie più all’avanguardia per creare oggetti di design e prodotti di moda: un esempio è Continuum Fashion di Mary Huang che punta proprio a creare una moda che sia sinonimo di tecnologia e che faccia da esempio per cominciare a capire che industriale non significa necessariamente “peggiore”.
E voi cosa ne pensate? Riuscite a immaginare un futuro per la moda in cui la destrezza della mano dello stilista lavori in completa sinergia con la macchina per creare prodotti impossibili da realizzare a mano?