Chiara Ferragni Unposted, il documentario al Festival di Venezia 2019
Chiara Ferragni Unposted, il documentario che celebra la Blonde Salada, presentato al Festival di Venezia 2019
Al Festival del Cinema di Venezia 2019 sta facendo molto discutere il documentario Chiara Ferragni Unposted. Il documentario arriverà nelle sale cinematografiche italiane il 17, 18 e 19 settembre, per poi approdare su Amazon Prime Video.
In teoria l’idea di fare un documentario su Chiara Ferragni poteva essere buona: la figura di Chiara Ferragni crea sempre facile indignazione nel popolo del web. Tuttavia questo documentario non è riuscito nel suo intento di mostrare chi sia veramente Chiara Ferragni, al di là di tutti i commenti negativi su di lei. Perché? Perché per creare un prodotto del genere bisogna staccarsi dal personaggio e non asciare ad esso le redini della collaborazione.
Il documentario doveva essere un modo per mostrare un personaggio italiano unico nel suo genere, capace di coniugare una nuova immagine della donna con le tecnologie moderne. La documentarista Elisa Amoruso, molto brava nel suo lavoro, però, forse per lo stretto contatto con la Ferragni, più che un documentario ha creato una sorta di elogio a Chiara Ferragni, un’autocelebrazione di cui non si sentiva l’esigenza. Mentre di un documentario vero, fatto di fatti e non di autocelebrazione sì che ce n’era bisogno. Ed è la stessa regista a confessarlo: una parte del film è stata montata insieme a Chiara Ferragni, è stata lei a decidere cosa mettere.
Durante la stessa presentazione stampa, sono stati toccati argomenti che nel documentario sono stati solamente sfiorati o passati quasi in sordina, mentre sarebbero stati interessanti dal punto di vista della documentazione. Per esempio, la stessa Ferragni, a una domanda diretta, risponde che gli influencer non devono essere considerati alla stregua di cartelloni pubblicitari, ma che si tratta di un lavoro in cui è fondamentale selezionare i brand giusti con cui lavorare. Sempre nel documentario, collaboratori della Ferragni introducono un’altra tematica importante che, però, come la precedente poi non viene approfondita a dovere: per le donne avere successo sembra quasi essere una colpa. E anche per Chiara è stato così: essere una donna di successo nella percezione comune diventa una colpa. E i suoi collaboratori non possono fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo se fosse stata un uomo: avrebbe avuto le stesse critiche, bullismo e body shaming?
Tutte tematiche che andavano approfondite di più, ma che non è stato fatto. Il documentario non vuole parlare della sfera privata della Ferragni (motivo per cui Chiara non ha voluto distribuire la pellicola su Netflix, troppo incentrati su quell’aspetto), visto che questa è già tutta sui social network, ma ha parlato della narrazione di Chiara Ferragni su Chiara Ferragni, su come ha costruito la sua identità. Il problema è che manca uno sguardo obiettivo esterno: vanno bene in un documentario gli sguardi di collaboratori, famigliari, Fedez e via dicendo, ma se il documentario tratta temi importanti come il diventare un’imprenditrice digitale, le logiche di merato, la rivoluzione tecnologia usando la sola voce della protagonista e non dà spazio a voci imparziali, ecco che il rischio è quello di avere un ritratto della persona creato ad arte dal soggetto in questione che si racconta per come vuole apparire, non per come è veramente.
Lo sappiamo che essere Chiara Ferragni non vuol dire farsi solamente selfie e postare foto su Instagram, ma è saper riconoscere i brand i valore e capire che i Like tolti da Instagram non sono una cosa nociva, ma una scelta vincente perché i brand vogliono risultati reali, non solo un mucchio di Like inutili. Ed era questa la Chiara che doveva saltare fuori dal documentario, ma che, purtroppo, non è emersa al 100%.