Intervista a Violetta Bellocchio autrice di "Il corpo non dimentica"
Oltre la sua ultima fatica letteraria, progetti di scrittura presenti e futuri, autobiografismo e narrazioni fictional
Ogni promessa è debito. Dopo la recensione di Il corpo non dimentica, l’ultimo libro di Violetta Bellocchio, ecco l’intervista con l’autrice in cui ci racconta un percorso di scrittura non convenzionale, i progetti letterari presenti e futuri, le “storie vere” e la passione totalizzante della scrittura.
D: Nel libro il percorso di disintossicazione avviene attraverso una serie di parole chiave, suggerite da una psicoterapeuta (n.d.r. Meredith), su cui elaborare se stessi e la propria vita. C’è una parola che per te è mancata tra quelle assegnate da Meredith?
R: Se lo chiedi alla Violetta del 2014, è sicuramente mancata la parola “morte”. Immagino che non sarebbe stato un buono strumento per recuperare un ricordo rimosso, e forse non ne sarebbe venuto fuori un capitolo memorabile del libro, ma oggi non posso fare a meno di pensare che sia stata un’omissione rilevante. Del resto, in quella lista mancano anche parole come “poliziesco procedurale” o “soldi”, quindi non è detto che certe lacune andassero colmate per forza.
D: Cosa ti ha spinto a scrivere una storia così personale e dolorosa? Quanto c’è di individuale (presumendo un effetto catartico) e quanto di altruista (ipotizzando un intento evangelico)?
R: A livello individuale, c’era un progetto di saggio non-fiction un po’ più convenzionale – piccole parti sopravvivono nel libro finito; posso solo dire che il libro finito è stato molto migliore come esperienza per me che l’ho scritto, e credo che non ci siamo persi un saggio fondamentale per l’evoluzione del genere.
Per quanto riguarda l’intento evangelico, come (giustamente) lo chiami tu, non faceva parte del progetto: ho parlato e scritto a titolo dichiaratamente personale. Anzi, sentivo l’evangelizzazione come un rischio concreto che poteva danneggiare il libro. Non sono qui per far smettere di bere nessuno, insomma.
D: Ci sono state reazioni dopo l’uscita di Il corpo non dimentica che ti hanno fatto ripensare alla scelta di metterti così a nudo?
R: Non direi, no. Mi ha fatto sorridere che una persona vicinissima a me chiedesse “… non potevi scrivere sotto pseudonimo?”. Sempre meglio di chi chiedeva “ma non hai paura?”, e aggiungeva “no, sai, lo dico per te, ti arriveranno addosso un sacco di cattiverie…”. (Alla faccia della profezia auto-avverante, eh.)
Ho scoperto che quando scrivi in prima persona le persone proiettano su di te moltissime delle loro paure individuali. Ora tu dirai che ho scoperto l’acqua calda, e avrai ragione, ma è così. :)
D: Dopo un libro come questo quale potrebbe essere il prossimo, una narrazione fictional o continueresti la vena autobiografica?
R: Dipende da cosa mi convincerà di più, a essere onesta: non puoi passare mesi al lavoro su una storia che non senti come urgente per te, o una storia che non sei tu la persona giusta per raccontare. Quando non ti senti a bordo di un progetto al 100%, puoi mentire a te stesso quanto vuoi, puoi cercare tutti i trucchi del mondo per “rendere interessante” quel progetto, ma la tua scarsa convinzione trasforma il lavoro in una patacca, un falso d’autore. E se una storia non interessa alla persona che la scrive, quanto può interessare a chi la legge? In ogni caso, comunque, devo trovare qualcosa che a me non sembri “Il corpo” capitolo 2, anche detto “il sequel che nessuno ha chiesto”
D: Il libro è un racconto autobiografico, una storia vera, quanto c’è del tuo progetto di scrittura Abbiamo le prove in “Il corpo non dimentica”, o viceversa?
R: Abbiamo le prove è nato a maggio/giugno dell’anno scorso, ed è andato online a settembre; dopo aver iniziato e finito un memoir, volevo stare dietro a un progetto che mi permettesse di uscire dalla mia testa il più possibile. E volevo vedere cosa avrebbero tirato fuori altre persone dal tema “storia vera”, persone che con me c’entrano poco o nulla, per ragioni di età, di interessi, di lavoro, e così via. Beh, quello che viene fuori è sempre una sorpresa.
Come è successo a me, alla fine.