Searching Eva: Eva Collè si racconta, si destruttura e incanta
Abbiamo intervistato la modella, artista e sex worker Eva Collè in occasione dell'uscita del documentario su di lei, Searching Eva
Controversa, provocatrice, giovane, libera. Eva Collè è una, nessuna e centomila, esattamente come recita il suo documentario su di lei, Searching Eva, da adesso in sala dopo essere stato presentato alla 69edizione della Berlinale e al Milano Film Festival. Eva è una ragazza di ventisette anni italiana, modella, sex worker, femminista e voce anarchica di una generazione stanca di definirsi sotto un’unica identità. Noi l’abbiamo incontrata e intervistata, provando a capire qualcosa in più di lei.
Per quanto a qualcuno potrà suonare strano e assurdo, il lavoro di “girlfriend experience” esiste ed è un lavoro come un altro, esattamente come ci tiene a sottolineare Eva Collè, sex worker italiana che ormai fa questo lavoro da otto anni. In Italia? No, certo che no. Qui la sua professione non verrebbe capita né tanto meno riconosciuta, se no con i soliti fraintendimenti, bigottismi e ignoranza tipica, troppo spesso, di questo Paese. Eva vive a Berlino, città che le ha sempre consentito di essere se stessa, ovvero un essere libero e indipendente, al di fuori di qualsiasi concezione o etichetta. Eva ha scelto di vivere senza nessuna costrizione e questo fa di lei un’artista a 360° che lavora con il corpo e con le parole.
Questa giovane ragazza italiana ha fatto sentire molto presto la sua voce attraverso il web. Con il suo blog Eva ha dato forma ai pensieri di una generazione fluida stanca di essere rappresentata attraverso schemi fissi. Ma la libertà – come ci racconta la stessa Collè – ha un prezzo e richiede sempre un compromesso. Eva vuole essere un punto di partenza, una fonte da cui partire, attraverso la quale chiedersi chi sono, cosa sono, cosa voglio davvero essere. Proprio per questo motivo Eva non riesce a rappresentarsi sotto un’unica identità, questo la bloccherebbe, la castrerebbe. Il suo è un personaggio mutaforma, camaleontico, affascinante e misteriosa. Nonostante la sua forte presenza sui social e la sua indole da provocatrice, da vagabonda anarchica, Eva Collè riesce comunque a mantenere un’intrigante aurea di mistero attorno a lei, portando quasi chi la guarda a perdersi nei suoi occhi da cerbiatta.
Chi è Eva? Cos’è davvero Eva? Cosa si cela dietro Eva?
Pia Hellenthal e Giorgia Malatrasi hanno provato a raccontarlo attraverso il documentario Searching Eva, senza però cristallizzare Eva in un unico personaggio, in un’unica identità, ma provando a portare lo spettatore nel mondo di Eva, scomponendolo pezzo dopo pezzo, attraverso stralci di routine tra vita privata e lavoro, attraverso pensieri a cui viene data voce attraverso Eva stessa. Schermate di testo con domande, suggestioni e affermazioni si alternano sullo schermo tra una sequenza e l’altra, stralci del blog della stessa Eva. Una sottospecie di esperimento di video arte su di una ragazza in carne ed ossa che, però, non può trovare definizione in un’unica rappresentazione, dove si chiede allo spettatore di interagire con essa, creando un rapporto che va al di là del semplice schermo.
Affascinata da sempre dalla stessa Eva, ho voluto immergermi ancora un po’ all’interno del suo mondo, raccontato dalla sua stessa voce, mentre passeggia per le strada di Berlino, nel quartiere del suo amante, nascosti per non farsi vedere. E qui è partita la nostra chiacchierata, dall’inizio della sua attività come sex worker passando all’esperienza di questo particolare film su di lei, fino al suo rapporto con il mondo del web oggi e con le persone che la seguono.
Eva, tu lavori in un ambito ancora molto particolare e poco conosciuto; o meglio, ancora molto frainteso e, spesso e volentieri, bistrattato e strumentalizzato, ovvero quello del “sexwork”. C’è ancora un profondo senso di alone attorno alla figura del sex worker, eppure tu ti sei sempre fatta portavoce di questo lavoro proprio come si dovrebbe fare, partendo dal presupposto che è semplicemente un lavoro come un altro. Facendo, però, un salto nel passato, come è iniziato tutto questo?
Come hai già detto tu è un lavoro come un altro. Se ne parla spesso come se fosse una cosa diversa ma, sinceramente, io non lo vedo troppo diverso da, per esempio, fare dei massaggi. É un servizio che tu offri. Il mio avvicinamento a questa professione è molto classico: avevo bisogno di soldi. Ho iniziato a guardarmi intorno alla ricerca di un lavoro che mi fruttasse abbastanza denaro ma mi togliesse il minimo tempo, tempo che io poi dedico alle mie passioni. E quando mi è capitata l’occasione di approcciarmi a questo mondo, mi sono resa conto che era l’opportunità migliore per una persona che, come me, non aveva alle spalle un percorso di studi (e non aveva intenzione di affrontarlo), e che aveva quel tipo di esigenza. Da cosa nasce cosa… Ed eccoci qui, sono ormai otto anni che faccio la sex worker. Offro un servizio full e cerco di accomodare il cliente come meglio posso, ovviamente nei limiti da me stabiliti.
Tu hai iniziato questo tipo di esperienza facendo la cam girl, quindi mostrandoti attraverso l’occhio di una telecamera. Occhio che, ovviamente, mostrava una porzione di te e della tua vita decisa da te stessa. Adesso arriva al cinema Searching Eva, questo documentario che vede te e la tua vita, la tua esperienza e la tua arte come protagoniste, dove, se ci pensi, si tratta nuovamente di un occhio puntato su di te, per quanto poi differente nella struttura. Ecco, come ti sei sentita osservata da un qualcosa che non potevi però decidere tu?
Diciamo che non c’era tantissima differenza rispetto a quello che io già facevo perché, bene o male tutti i giorni, condivido porzioni di me e della mia vita su internet attraverso i social o sul mio blog. La cosa più particolare e strana è stato il lasciar curare a qualcun’altro l’esposizione di questa cosa. Devo essere onesta, facevo fatica a pensare che ci fosse qualcun’altro che avrebbe girato il film, editato e messo insieme le immagini secondo un suo ordine e non un mio ordine. La mia paura più grande, da questo punto di vista, era che poi il tutto diventasse un ritratto che poi mi cristallizzasse in una sola identità. In genere con un film basato su di una sola persona, con un certo tipo di narrativa, non è affatto facile decostruire quella persona; anzi, generalmente si fa l’esatto opposto, secondo me bloccando un po’ in un’unica rappresentazione l’essenza di quella persona. Invece, sono rimasta molto colpita dal lavoro che hanno svolto. Il film sicuramente ha una sua narrativa che poi circola attorno a quella che sono le tematiche che meglio mi rappresentano, come appunto il lavoro, la sessualità, al tempo stesso riesce però nell’intento di riuscire a decostruire, a scomporre me stessa in più porzioni di me perché questa sono io. Comunque, si, la più grande paura era quella di lasciar curare la mia immagine da qualcuno che non fossi io, proprio per questo motivo io ho visto per la prima volta il film completo durante la proiezione ufficiale al Festival di Berlino, altrimenti sapevo già che non mi sarebbe andato bene nulla, che avrei voluto rimettere mano io; invece, quando ormai il lavoro è fatto, bello e chiuso, durante una premiere mondiale, non puoi proprio fare più nulla.
Questo mi fa capire, quindi, che non hai avuto potere decisione su nulla. Nel senso, decidere alcune scene, cosa mostrare e cosa non mostrare, cosa dire, cosa non dire.
Ho interpretato Searching Eva come una collaborazione tra me e loro, nel senso che io consegnavo il mio materiale – cioè me stessa – e poi loro ci lavorano. Loro mi seguivano, “semplicemente”. Hanno poi scelto loro cosa usare e cosa non usare e come usarlo, soprattutto. Indubbiamente nel fare questo e lasciare quindi gran parte del lavoro a loro ho avuto delle difficoltà, come per esempio nei voice over, che altro non sono che stralci presi dal mio blog. Fosse stato per me li avrei cancellati tutti. Questo è l’unico aspetto che ancora un po’ mi tormentata. Sono una perfezionista e fosse stato per me ci avrei lavorato su molto di più, invece il tempo per quel tipo di processo e lavoro è stato davvero molto breve. Potevamo registrarli solo in un giorno e solo per tot tempo, quindi li ho davvero messi insieme come meglio potevo per far sì che insieme avessero un senso e poi mi sono lanciata. Ma, anche per registrarli semplicemente, ho avuto davvero difficoltà. No, su questo aspetto sono molto poco soddisfatta.
Eppure, forse grazie proprio alla loro “imperfezione”, quei passaggi sono i miei preferiti nel film. Li ho interpretati quasi come una sorta di sfida perché, in tutto il film, sembra quasi di assistere alla tua evoluzione, al tuo cambiare pelle continuamente. In quei momenti, dove la tua figura si mette sempre di più a nudo, sia metaforicamente che visivamente, sembra quasi che con la tua voce, con il tuo corpo, tu cercassi di dire “bene, adesso prova ad analizzarmi se ci riesci”.
La cosa più interessante di questo film è proprio questa: io mi racconto, indubbiamente, ma poi il film lavoro molto sulla percezione delle persone. È quasi interattiva la situazione che è stata creata. Pensa anche alle schermate di testo che sono state inserite tra una scena e l’altra.
Possiamo quasi definirlo un esperimento – riuscito – di video arte? In fondo, Searching Eva mi è sembrato che fosse anche un invito allo spettatore di mettersi nei tuoi molteplici panni; quindi spronarlo ad essere attivo e non passivo come molto spesso accade al cinema.
Si, anche perché se non ci fosse stata l’interazione, come quella dei miei follower, non ci sarebbe stata poi tutta la parte delle domande che, come ti dicevo, intervalla a volte le scene di film. Da una parte ci sono io che mi racconto, dall’altra ci sono le altre persone che si “raccontano” attraverso le domande che mi fanno.
Searching Eva si apre con la frase “Eva è una, nessuna e centomila”, per poi porre allo spettatore stesso e a te la domanda: Chi è Eva? So che tu non ami definirti, una definizione non sarebbe sufficiente perché sarebbe come restare intrappolati in una sola identità. Voglio comunque chiederti se, vedendo questo film, tu hai avuto modo, in un certo qual senso, di rispondere a questa domanda: chi è Eva?
Io mi scopro costantemente. Vengo a conoscenza delle mie identità ogni giorno, ed è un po’ il senso di questo film. L’identità per me deve sempre essere un mezzo e non un fine. Ad esempio, tutto il problema dell’identity politics, è che invece di utilizzare l’identità come un mezzo per essere insieme, per fare unione, usano le caratteristiche tipiche di una certa identità per poi isolarsi. Da qui poi sorge l’essere fieri di se stessi che, per carità è giustissimo e sono totalmente concordo, al tempo stesso però credo che la singola identità non debba diventare un fine, perché in quel momento tutto ciò che ti contraddistingue cade nelle classiche etichette. Non stai acquisendo nulla, come pensi invece che stai facendo, ma stai perdendo pezzi. É un po’ come il discorso di promuovere il lasciare quello che non ti serve, e avvicinarti a quello che ti serve per esprimerti in base al percorso che tu stai facendo.
L’identità non deve essere un limite, altrimenti non potrai mai andare oltre.
Esatto, perché fondamentalmente non potrai mai diventare qualcuno in questo modo. Sarai sempre delle “cose”, ma non avrai mai realizzato davvero te stesso.
Ti è mai capitato di trovare qualcuno, all’interno della tua community, che ti dicesse “Eva, vorrei tanto essere come te”?
Mi è successo diverse volte in questi anni di blogging, ma non lo prendo mai come un vero e proprio “vorrei diventare te”, ma più come un modello, una fonte di ispirazione. Le persone mi vedono molto libera e, giustamente, mi dicono che vorrebbero anche loro, a loro volta, riuscire a svestirsi di tutte quelle cose che sono un peso. Ovviamente ognuno poi dovrà trovare il suo percorso e i suoi compromessi. Ad esempio, il fatto che io dica liberamente di essere una sex worker è perché prima di tutto vivo (Berlino) in un luogo che mi consente di farlo dove sono tutelata, secondariamente non ho una famiglia sulla quale le mie scelte potrebbero riversarsi. Se vivessi in America, per esempio, mi dovrei nascondere. Sono consapevole dei limiti degli altri, così come dei miei, per questo anche l’ispirazione è sempre da prendere con le pinze. Poi, nel mio caso specifico, ho impostato tutta la mia vita sulla consapevolezza che non amo censurarmi.
Dal lavoro alla vita privata: c’è più di una Eva?
In realtà ci sono diversi tipi di scambi. In ogni relazione tu vieni codificato dall’altra parte in una maniera diversa in base all’esperienza della vita della persona che ti è di fronte. E, di conseguenza, dai all’altro quello che ti sembra più consono in una situazione. Da sex worker mi comporto in una maniera in cui lo scambio può funzionare all’interno di un contesto dove tanto io quanto il cliente siamo il più soddisfatti possibile. Cerco di applicare la stessa cosa all’interno anche delle mie relazioni, poi certo non è sempre così scontato o funzionale. Credo comunque che in tutte le relazioni noi non siamo mai la stessa persona, o comunque non veniamo mai letti nello stesso modo.
Parlando di relazioni, all’interno di Searching Eva si può vedere molto bene la relazione che hai con tua madre. Sembrate estremamente complici, quasi delle amiche. È sempre stato così? È cambiato qualcosa quando hai rivelato la natura della tua professione?
Non ho mai vissuto da bambina con mia mamma, quindi probabilmente questo è uno dei motivi per cui adesso ci riesce così bene stare insieme. Però da sempre mi ha sempre capita ed io l’ho sempre capita, anche nei momenti in cui mi sono sentita un po’ trascurata perché lei aveva dei problemi con se stessa. Abbiamo però parlato anche di questo e ora come ora sta lavorando molto su questo aspetto. La situazione con mio padre è stata leggermente diversa, ma entrambi sono stati favorevole al fatto che io trovassi il modo migliore per me di esprimermi e di vivere la mia vita. Non mi hanno mai imposto nulla e sono consapevole di essere stata piuttosto fortunata in questo ambito.
Eva da quello che si evince chiaramente di te, sei una persona estremamente attiva dal punto di vista dei social. Hai fatto sentire la tua voce attraverso le diverse sfumature del web; ma nonostante questo la tua persona resta ammantata da un alone di mistero. Oggi che viviamo in una società costantemente connessa, dove tutti – volenti o nolenti – condividiamo la nostra vita attraverso i social, quasi abbattendo anche un po’ drammaticamente il senso stesso di privacy, come si fa ancora a mantenere il mistero su di sè?
Appunto non lasciando l’identità diventare un limite. Perfino questo alone di mistero, come dici tu, sono dei mezzi che io posso usare parzialmente, prendere o lasciare. Probabilmente dal momento che non c’è mai stata una cosa con la quale mi sono identificata al 100%, è impossibile definirmi del tutto. Invece, chi tende a ragionare per compartimenti stagni mi vede un po’ come… Wow, cosa sei!?