Anni ’90: come vivevamo (felicemente) senza tecnologia
Quando il diario era il nostro Facebook, le canzoni preferite si ascoltavano su musicassetta e i bigliettini sotto il banco erano il nostro Whatsapp: ve li ricordate gli anni novanta?
Avete presente quando i nostri genitori, ascoltando una canzone della loro giovinezza, affermano certi: “Ah, com’erano belli i miei tempi! Quella era musica, non quella di oggi!”? Beh, è un po’ quello che capita alla generazione degli anni novanta, nata e cresciuta con ai piedi i Doc Martens e le Superga da 10 euro al mercato. Tutti hanno un tempo mitologico da rimembrare con sospiri di nostalgia che corrisponde a quello della propria adolescenza, il periodo che di solito si vive con maggiore intensità; un periodo in cui tutto era più facile, più bello, più divertente. La dance era più ballabile, i look erano più trendy, le amicizie più vere, le canzoni più romantiche… E insomma, io non mi sono rassegnata alla fine degli anni novanta (ma neanche ai primi anni duemila: infatti a febbraio ho trascorso due ore a dimenarmi al concerto dei Backstreet Boys, che no, non sono morti e sì, fanno ancora i balletti) e questo pezzo è per tutti i nostalgici di quel periodo e per quelli che, come me, vivono nel ricordo di quei magici anni ormai perduti. Buona lettura!
Il nostro diario segreto
Prima di Facebook (e qui vi racconto com’era la vita senza i social network) cosa eravamo, se non un cumulo di ragazzini con la penna in mano e un diario segreto? Io ne avevo almeno quattro, a cui confidavo i miei segreti più reconditi; segreti e problemi che venivano poi passati di mano in mano a tutta la classe delle medie perché potessero trovare una soluzione. Tutti i miei compagni potevano scrivere sul mio diario delle medie, perché l’obiettivo era la popolarità e i drammi (o gli pseudo tali) raccontati nei diari garantivano un piccolo occhio di bue acceso sulle proprie vicende, anche solo per dieci minuti. Ora, ditemi voi: come la chiamate voi questa cosa, se non “Bacheca di Facebook allo stato grezzo, itinerante e tangibile?”
I primi cellulari
Oggi abbiamo tutti l’iPhone ma non dimenticate mai quel tempo in cui giravamo con un Alcatel One Touch in tasca, anzi, di più: ne eravamo orgogliosi. Noi eravamo orgogliosi di girare con una padella del peso specifico di 300 grammi, da cui si poteva solo telefonare e mandare preziosi sms, a quei tempi unico appiglio a una vita che fosse anche un minimo socialmente frizzante. E il Nokia 3210: il miglior telefono che io abbia mai avuto. Indistruttibile, immarcescibile, indimenticabile. Milioni di partite a Snake sotto il banco e milioni di cover glitterate collezionate per i posteri. E le suonerie che potevi comporre (in un modo macchinosissimo, ma pur sempre soddisfacente, quando riuscivi a far suonare il telefono in modo armonioso, senza neanche una nota stonata)? E il fatto che la batteria non si scaricasse MAI? Credo di averne ancora uno carico dal ’98. Dio ti benedica, Nokia 3210.
L’agenda elettronica
La Casio in quegli anni lì ha sbancato: d’altronde le agendine elettroniche più fiche ce le aveva lei. Io ne ho sognata una per anni. Per farci cosa poi? Che appuntamenti potevo mai avere a 12 anni? Eppure, giorno e notte, notte e giorno, io sognavo una fantastica agenda elettronica con tanti piccoli tastini e bottoncini e l’oblò sullo schermo, grande quanto quello di una calcolatrice, eppure così funzionale! Sono riuscita a cavare solo un Mio Caro Diario Special (della Gig, mitica marca di giocattoli dell’epoca) che fungeva esattamente da calcolatrice e non ti dava neanche la possibilità di calcolare l’affinità di coppia con il compagno di banco. Per me è stato un trauma: a volte sono tentata, per rifarmi di questa terribile mancanza, di inviare MIO NOME SUO NOME a LOVE CALCULATOR. Fate un po’ voi.
Le schede telefoniche
Prima delle Ricaricard per cellulari c’erano loro, le schede telefoniche. Colorate, preziose, uno status symbol. Possederne una piena di soldi (5, massimo 10 mila lire) equivaleva, per noi poveri studenti delle elementari/medie degli anni novanta, a possere il mondo, o almeno la possibilità di mettersi in contatto con qualcuno che non fosse la nonna o l’amichetta del cuore. Io stalkeravo un tizio che mi piaceva da una cabina telefonica tutti i pomeriggi del catechismo (riuscivo a farlo con 200 lire: gli chiedevo Ciao Come stai, sono Giovanna, cosa hai fatto oggi, quando ti vedo in giro? prima che cadesse la linea, esattamente cinque secondi dopo. Ma, oh, era bellissimo) e nel frattempo elemosinavo schede finite per la mia collezione di schede finite, che nessuno ha mai saputo cosa farsene esattamente però nel dubbio le mettevi da parte. Il massimo era metterle sulla ruota della bicicletta: ogni pedalata corrispondeva a un rumore assurdo, fastidioso, orribile, ma quanto era divertente lasciarsi annunciare dal suono di una scheda telefonica? Momenti memorabili che non torneranno mai. (Altre cose random che ci piaceva collezionare negli anni novanta: i ciucciotti in plastica. Cosa ne facevamo dei ciucciotti in plastica? Collane, bracciali, portachiavi. Più erano grandi, più erano belli. Inutili, ma darei un occhio per ritrovarne uno adesso).
CD piratati e musicassette
Adesso ci facciamo i fighi con Spotify e con YouTube, e con gli iPod e tutti i dispositivi tecnologici che abbiamo a disposizione, ma negli anni novanta la musica si ascoltava rigorosamente dalla RADIO, al massimo da lettori CD giganteschi o dalle Musicassette.
Io sotto casa avevo un bar conl JukeBox: ho ascoltato musica anche da quello, per un estate, prima che sparisse per sempre. Ricordo interi pomeriggi passati davanti alla radio per beccare dall’inizio la mia canzone preferita: nel giro di un nanosecondo dovevi beccare la canzone, premere REC + PLAY e sperare di prenderla dalle prime note. Cosa, per altro, che non succedeva MAI. E così ti ritrovavi 60 minuti di cassetta con canzoni a metà. Altro che Spotify. Altro che il 2014. Ai miei tempi sì, che era tutto più bello.