Italian Dreamtime: a caccia di storie italiane in Australia
Oriana Pagano racconta il viaggio di quattro ragazzi in Australia, per raccogliere le storie e i sogni degli italiani che l’hanno scelta come loro nuova casa
Inizio a scrivere questo articolo nella luminosa cucina della mia amica Carole, mentre sorseggio un caffè. Ogni tanto guardo fuori dalla finestra, distratta da versi di uccelli sconosciuti. Sono loro a ricordarmi che mi trovo a più di 15.000 km da casa. In un altro emisfero. In un altro continente. In un’altra stagione. Nella città che quattro anni fa mi ha fatto innamorare: Sydney.
Ancora non mi sembra vero di essere qui. Queste prime due settimane in Australia sono state un turbinio di emozioni, impegni, ricordi e scoperte che ancora danzano a mezz’aria in attesa di sedimentarsi.
Una cosa, però, mi è stata chiara fin dall’inizio: questo è e sarà un viaggio diverso da tutti gli altri.
Innanzitutto, contrariamente a quanto faccio di solito, questa volta non viaggio da sola. Sono partita per questa avventura insieme a Denis, Emiliano e Renato, tre ragazzi che non conoscevo e che sto scoprendo un poco alla volta. Insieme formiamo la squadra di Italian Dreamtime.
In secondo luogo, questo viaggio ha un obiettivo ben preciso: raccontare l’Australia attraverso gli occhi degli italiani che ci vivono e ne hanno fatto la loro casa. Siamo cacciatori di storie, e non riesco ad immaginare lavoro più stimolante.
Stiamo scoprendo storie di coraggio, amore, successo ma anche di discriminazione e difficoltà. Storie di ieri e di oggi in cui le caratteristiche migliori della nostra cultura emergono e si mescolano con quelle di questo Paese. Storie di emigrazione, contaminazione, integrazione. Non avrei mai immaginato di trovare tanta Italia qui in Australia. È affascinante.
Non si tratta soltanto dei numerosi bar e ristoranti italiani presenti a Sydney o degli ancor più numerosi giovani italiani che sono qui con il visto Working Holiday, ma di una vera e propria influenza reciproca, di stampo culturale, che affonda le proprie radici nella seconda metà del secolo scorso.
Proprio ieri, ad esempio, un amico australiano dal cognome infallibilmente italiano, mi raccontava come da bambino aiutasse “Nonna Anna” a preparare le tagliatelle e i ravioli fatti in casa o di come in Australia, prima dell’arrivo degli italiani, nessuno coltivasse l’aglio, il basilico o il rosmarino. “Se gli australiani oggi conoscono e apprezzano la buona cucina è anche merito dei primi immigrati italiani” mi dice in inglese con un certo orgoglio.
Gli italiani che abbiamo incontrato e intervistato fino ad ora sono molto diversi tra loro. Appartengono a generazioni diverse, svolgono professioni diverse e sono giunti qui in Australia in tempi e per motivi diversi. Eppure comincio già a notare, nei loro racconti e nel loro modo di fare, alcuni elementi ricorrenti: l’infatuazione ed il rispetto per questo Paese in cui niente viene regalato ma tutto è più facile, l’amarezza e una certa rassegnazione quando il discorso cade sull’Italia, in generale un atteggiamento sereno e rilassato.
Il caso più emblematico in questo senso è forse quello del trentaseienne Mirko Gozzo, Country Manager per l’Oceania dell’editore di videogiochi americano Riot Games. Lo raggiungiamo nel suo ufficio al ventunesimo piano dell’elegante palazzo PWC in Sussex Street – che brulica di professionisti in giacca e cravatta – e Mirko ci accoglie in tenuta da skater, con tanto di cappellino e skateboard in mano. Questa è una delle molte cose che apprezza dell’Australia – ci dirà poi mentre pranziamo insieme in un ristorante che si affaccia su Darling Harbour – “qui la gente non bada alle apparenze e non ti giudica per come sei vestito”.
Mirko è un ragazzo alla mano, con un bel sorriso sincero. Non solo ci dedica pazientemente buona parte del pomeriggio, ma con grande spontaneità ci invita anche a cena a casa sua: “Ci sono qui i miei genitori e mia mamma ha fatto le lasagne”. Non ce lo facciamo dire due volte. Quella sera – comprate al volo un paio di bottiglie di Shiraz – lo passiamo a prendere e ci avviamo insieme verso il suo appartamento. Conosciamo così anche i suoi genitori e suo figlio Billy, un bel bambino biondo dai grandi occhi vivaci, che passa dall’italiano all’inglese come fossero la stessa cosa.
Ceniamo tutti insieme, la prima vera cena italiana in famiglia da quando siamo arrivati. Ed è subito casa.
Perché se sei italiano, quando viaggi o vivi all’estero, l’Italia la porti con te, ovunque tu vada.
Oriana Pagano – The Travel Gene